Germano Celant: il ricordo dell’artista Paolo Icaro

Alcuni pensieri buttati di getto sulla carta dopo aver appreso la terribile notizia della scomparsa del critico e teorico a causa del coronavirus. Paolo Icaro, tra gli artisti fondatori di Arte povera, ricorda Celant in maniera struggente

Germano, ti scrivo oggi, in ritardo di una vita – la mia – e ora che te ne sei andato, la nostra vita. Ti voglio ringraziare per tutto quello che non mi hai dato e che mi è servito molto, ancora di più. Nel tuo silenzio ho imparato quello che non dovevo fare, così ho fatto ciò che volevo fare.

Dal tavolo del ping pong con Renato [Mambor n.d.R], dal panno verde delle boccette con Millo [Emilio Prini, n.d.R], a Genova in quei tre anni favolosi, in via Assarotti io e tu in Salita Oregina, anni di rivoluzione sessantottina, ti ho seguito a distanza, con rispetto. A una distanza che negli anni è cresciuta, dilatata sino al limite della reciproca dimenticanza.

Ma la stima non è poca cosa e fra noi sospetto non sia mai mancata.

Quando, dopo mezzo secolo di reciproco silenzio, mi chiami per un lavoro del ’69 da riproporre a Venezia, in un istante si annulla ogni tempo, ogni distanza. E ci rivediamo.
Sino al momento in cui, quando arrivo con un filo di metallo in mano nel tuo bunker di libri e opere d’arte a Milano, mi dici: “mettilo in equilibrio lì davanti alla mia scrivania, così quando mi siedo lo guardo e mi saluta”. Germano, in una frase detta mi hai dato di più che in tante pagine mai scritte. 

Poi lunch nella tua splendida casa un po’ appartata all’interno di un giardino: colazione elegante, minimale un po’ orientale, vino francese. All’improvviso quasi sottovoce mi dici: “ma tu non mi hai mai chiesto niente, sei stato troppo timido…”. “Forse presuntuoso”, aggiungo.

Ci salutiamo, senza sapere che era per sempre.

-Pietro Paolo Icaro

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Redazione

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