Morto lo scultore Antonio Trotta. Il ricordo di Marco Senaldi

Marco Senaldi analizza l’opera dell’artista appena scomparso Antonio Trotta, soprattutto per ciò che concerne il tema della nostalgia.

Poche opere come quella di Antonio Trotta hanno reso giustizia al concetto di nostalgia. Senza ritornare sul tema omerico del ritorno alla patria, interpretato filosoficamente da un greco tardo come Plotino come ritorno all’Uno, la “patria dell’essere”, si potrebbe leggere invece la nostalgia come un sentimento tipico del presente.

IL RESPIRO NELLE OPERE DI TROTTA

Il linguaggio e la rappresentazione sono sempre, intimamente, nostalgici, perché, per dirla con le parole del protagonista dell’Invenzione di Morel di Bioy Casares, costituiscono “la soppressione di un’assenza”. Ma linguaggio e rappresentazione non sono che strumenti culturali per far spirare quel vento dell’assenza che, secondo le parole dell’apostolo “soffia dove vuole” (Giov.., 3, 8). “E tu ne senti la voce – prosegue il testo evangelico – ma non sai donde venga e dove vada; così è di chiunque è nato dallo Spirito”. Se si tolgono queste parole dal loro contesto religioso e le si interpreta laicamente nel senso hegeliano si capisce bene che lo spirito e la voce altro non sono che la cultura stessa, il vento che soffia dove vuole sui frammenti dell’arte con cui siamo destinati a convivere. È un tema tipico delle opere di Trotta, riassumibile con il termine “respiro”. Non penso soltanto ai Sospiri, la serie di lavori del 1999 in cui il marmo si trasforma in foglio scosso dal vento che sembra palpitare di vita, ma anche all’elemento “aria” nei panneggi di opere come Vento sud (1980) o come   delicato scompiglio che sparpaglia le foglie d’acanto del capitello inesistente di Autunno corinzio (1981), e in generale alle piume, fazzoletti, ricami, tende, rampicanti, ombre, reti, e persino ali – elementi che contraddicono il peso del materiale di cui sono in realtà costituiti.Tutti noi siamo nati da questo spirito/respiro perché siamo stati battezzati ab origine nel lavacro delle culture che ci hanno preceduto. “Se la parola cultura viene dalla campagna non v’è raccolta senza la coscienza del coltivare. La raccolta nasce da un lungo viaggio, durante il quale si colgono le tracce di luce rimaste dalle diverse culture incontrate” ha scritto Trotta in una sua dichiarazione. 

TROTTA E LA NOSTALGIA DEL PRESENTE

La cultura stessa è intimamente nostalgica. Non nel senso che ad essa manchi qualcosa, o che aspiri ad un ritorno impossibile ad una fase già oltrepassata, ma nel senso che essa include tra i suoi valori anche l’assenza nel cuore della presenza, il vuoto che permette all’attuale di dimorare, il calco come spazio in cui la scultura può “insistere”. Trotta, figlio orfano di due culture, entrambe nostalgiche per definizione come quella italiana e quella argentina, ha saputo spiegare benissimo di cosa si tratta: non è il rimpianto del passato, ma è la “nostalgia del presente”, incompleto e inaccessibile nel suo stesso offrirsi qui-e-ora. Non è forse questo il senso recondito delle più “culturali” fra le opere di Trotta, come Trilogia: balcone, grata, lampione presentata alla Biennale di Venezia del 1976? Ciò che sconcerta in questi tre bronzi non è solo il fatto che sono sculture “vuote”, adatte a lasciar spirare l’”aria”, ma che ciascuna di esse e tutte insieme sono delle anamorfosi per le quali non esiste un punto di vista “adatto”, impossibili e distorte come prospettive illusorie. In opere come questa vediamo che il lavoro di Trotta si stacca dall’ideologia postmoderna del frammento, della mancanza di una totalità riassuntiva. Tutto al contrario, esse ci ripetono che un vero sapere deve innanzitutto saper includere, dentro il suo sterminato bagaglio, anche la mancanza stessa. Non è forse questo l’autentico significato dell’opera di Borges, amatissimo da Trotta, ossia l’amara consapevolezza che, alla fine, nessuna Biblioteca di Babele è davvero completa? La stessa cultura argentina, anamorfosi irrisolta della cultura spagnola ed europea in genere, non contiene in se stessa questo germe di negativo che Trotta ha reso visibile come traforo nella lastra del marmo su cui si legge Amargura, 1995, che in spagnolo significa appunto (ma ogni traduzione letterale è impossibile) “malinconia”?

LA SCULTURA DI ANTONIO TROTTA

La potenza della cultura nel suo senso proprio è proprio la capacità di reggersi includendo questa assenza, di darsi come una totalità non-tutta. “E se non tutto/ e se non tutto / almeno l’inizio; /fare si può fare / e anche disfare / ma è un’impalcatura:/ dipende da chi sopra ci sale” canta Battisti-Panella in Hegel; la grandezza di un’arte consiste in questa offerta, in questo presente (nell’accezione di dono, regalo) di assenza, impalcatura di frammenti completabile solo con un altro frammento: il residuo dell’altorilievo attico che diventa bassorilievo scheggiato in La battaglia delle Amazzoni (1978-9), la raccolta di frammenti classici che diventa scultura (in)decifrabile nel Fagotto di bronzo (1985) e il sapere di tutti i saperi che diventa l’ultimo libro nostalgicamente il-leggibile, poiché scolpito nel marmo, Philosophia Vol. I (1991) – enigmatico emblema della resistenza dell’arte a qualunque interpretazione.

Marco Senaldi

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Marco Senaldi

Marco Senaldi

Marco Senaldi, PhD, filosofo, curatore e teorico d’arte contemporanea, ha insegnato in varie istituzioni accademiche tra cui Università di Milano Bicocca, IULM di Milano, FMAV di Modena. È docente di Teoria e metodo dei Media presso Accademia di Brera, Milano…

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