Il Turner Prize licenzia il suo main sponsor: aveva posizioni omofobe. Polemiche in UK

Scoppia il caso ‘Turner’ in Inghilterra, con la scelta della Tate di non accettare denaro da una grossa azienda inglese. Ringraziano i gruppi lgbt che avevano denunciato, mentre altri parlano di ipocrisia

Lotta dura contro l’omofobia per il Turner Prize, fra i più prestigiosi premi d’arte contemporanea al mondo, organizzato dalla Tate Gallery, che in un trentennio ha incoronato artisti del calibro di Jeremy Deller, Steve McQueen, Anish Kapoor, Richard Deacon, Rachel Withread, Gilbert & George. È di questi giorni la notizia di un clamoroso dietrofont: in nome del rispetto di principi sacrosanti e in difesa della propria immagine internazionale, il colosso britannico ha sacrificato un bel po’ di sterline. In altre parole: fuori lo sponsor, se c’è traccia di discriminazione contro i gay.

Il caso 'Section 28', proteste contro un bus della Stagecoach a Manchester, luglio 2000

Il caso ‘Section 28’, proteste contro un bus della Stagecoach a Manchester, luglio 2000

BRIAN SOUTER E L’ARTICOLO 28. UNA BATTAGLIA OMOFOBA

I fatti riguardano Brian Souter, presidente della compagnia di autobus Stagecoach, partner principale della 34° edizione. Dalle pagine di cronaca sono infatti saltati fuori alcuni dettagli relativi alle convinzioni dell’uomo e al suo controverso attivismo politico: nel 2000 aveva finanziato una campagna mediatica – fortunatamente infruttuosa – destinata a mantenere la famosa “Section 28”, un articolo del Local Government Act del 1988 che riguardò Inghilterra, Galles e Scozia. Entrato in vigore il 24 maggio di quell’anno, l’emendamento obbligava le autorità locali a “non promuovere intenzionalmente l’omosessualità o pubblicare materiale con l’intenzione di promuovere l’omosessualità” e a non “promuovere l’insegnamento in qualsiasi scuola finanziata dallo Stato dell’accettabilità dell’omosessualità come pretesa relazione familiare”. Triste esempio di retroguardia e di neo oscurantismo, in seno a una grande democrazia. La clausola – che aveva portato alla chiusura di diverse associazioni lgbt e a un terrorismo censorio nei confronti degli insegnanti – venne finalmente abrogata nel 2000 in Scozia e nel 2003 nel resto del Regno Unito, dopo un acceso dibattito pubblico.
Brian Souter fu uno di quelli che appoggiarono la causa della “Section 28”, investendo denaro e mettendoci la faccia. Ma non solo. La sua linea da conservatore retrivo, ostile agli omosessuali e ai loro diritti civili, si mantenne integra negli anni. Palesi le critiche alla regolamentazione dei matrimoni gay, come quando – sottolineando la sua fervida fede cristiana – dichiarò alla BBC che “non è un problema di uguaglianza, ma un problema di moralità“. Per poi chiedersi affranto: “cosa insegneremo nelle nostre scuole su questo tema?“. La solita preoccupazione per l’educazione e le “influenzabili” menti dei bambini: il candore dell’infanzia, che non conosce pregiudizio e sovrastrutture morali, diventa scudo per le paure di chi, quel pregiudizio, tenterà di coltivarlo e di trasmetterlo alle nuove generazioni.

Manifesto per il Turner Prize 2018

Manifesto per il Turner Prize 2018

LA TATE PER I DIRITTI E IL PLURALISMO

Niente che possa essere tollerato, a quanto pare, dal board di un premio come il Turner, che appurate le solide convinzioni del suo main sponsor, ha preferito rinunciare. Niente soldi da chi lotta per ostacolare i diritti civili. Un ruolo importante lo hanno avuto naturalmente la comunità lgbt e quei gruppi di attivisti, fra circoli e organizzazioni, impegnati nella lotta all’omofobia: un pressing che ha avuto i suoi frutti. “La maggiore priorità del Turner Contemporary e della Tate”, si legge in una dichiarazione ufficiale, “è quella di mostrare e celebrare gli artisti e il loro lavoro. Il Turner Prize celebra le libertà creative della comunità di artisti visivi e della nostra società, in senso ampio. Di comune accordo, non procederemo con la sponsorizzazione di Stagecoach South East per l’edizione di quest’anno“.
Accesissimo il dibattito, che ha monopolizzato la comunicazione intorno al premio, mentre si attende di conoscere il vincitore fra i 4 giunti in short list: Lawrence Abu Hamdan, Helen Cammock, Oscar Murillo, Tai Shani, in mostra dal 28 settembre 2019 al 12 gennaio 2020 negli spazi della Turner Contemporary, a Margate, cittadina della contea del Kent in cui Stagecoach South East ha il suo quartier generale.  Il nome sarà annunciato il prossimo 3 dicembre, durante la consueta cerimonia alla Tate Britain di Londra.

Uno dei poster per la Giornata Internazionale contro omofobia e transfobia e bifobia, 17 maggio 2019

Uno dei poster per la Giornata Internazionale contro omofobia e transfobia e bifobia, 17 maggio 2019

LE POLEMICHE SUL POLITICALLY CORRECT

E a proposito di polemiche, non sono mancate le critiche di chi, insofferente alle istanze del “politically correct”, ha accusato di ipocrisia e opportunismo il Turner, colpevole di aver ceduto alle pressioni delle comunità lgbt e di aver enfatizzato il tema in modo pretestuoso: l’arte vive di sponsorizzazioni, che arrivano anche da banche, produttori di armi, società petrolifere, grandi case farmaceutiche, marchi che sfruttano il lavoro minorile o le popolazioni disagiate. Per ognuno di questi soggetti possono essere imbastite critiche, da questa o da quella parte della scena politica e dell’opinione pubblica. Coerenza vorrebbe che per nessun tema sensibile il sistema dell’arte ammettesse controverse collaborazioni. Ma i budget servono e la ricerca di fondi – secondo certe voci smaliziate – dovrebbe prescindere dal rigore etico: uno scambio economico tout court, senza implicazioni e moralismi fasulli.
Intanto, un’istituzione monumentale come la Tate, ha fatto la sua scelta. Nessuno spazio per chi conduce battaglie omofobe. E il medesimo rigore arriverebbe, quasi certamente, nei confronti di imprenditori dal profilo razzista, sessista, antisemita. Proprio l’anno scorso uno dei finalisti del Turner, Luke Willis Thompson, esponeva ad esempio un film dedicato alla questione razziale e alla vicenda di Philando Castile, giovane nero ucciso dalla polizia in Minnesota del 2016 (e anche in quel caso non mancarono le polemiche).
Sarà pure fastidiosa, agli occhi di alcuni e per determinati eccessi, la retorica del “politicamente corretto”, ma mai quanto la sciocca crociata di chi, nel XXI secolo, fa ancora il gioco violento del suprematismo ‘white-straight’ e della discriminazione.

Helga Marsala

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, giornalista, editorialista culturale e curatrice. Ha innsegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a…

Scopri di più