Tra dolore e purificazione. Gli ultimi giorni di Marina Abramović a Firenze

Palazzo Strozzi, Firenze ‒ fino al 20 gennaio 2019. Dolore. Dolore fisico, dolore emotivo. Paura. Disperazione. Frustrazione. Consapevolezza. Introspezione. Calma. Libertà, leggerezza. Sono questi i temi chiave della mostra di Marina Abramović che sta per concludersi a Palazzo Strozzi.

Marina Abramović ha conquistato Palazzo Strozzi con la seducente e provocatoria retrospettiva The Cleaner, una raccolta delle sue opere più rappresentative. L’artista ha affermato che la mostra nasce da un attento processo di selezione: “Come in casa, teniamo soltanto ciò di cui abbiamo bisogno e ci liberiamo del passato, dei ricordi e del destino”. Organizzata cronologicamente, la mostra comprende dipinti, video, fotografie delle sue rappresentazioni precedenti come pure performance dal vivo che abbracciano una produzione artistica di oltre cinquanta anni. I temi ricorrenti sono il dolore come emozione quasi totalizzante, la capacità di sopportarlo, e ancora lo stesso dolore visto come “una porta segreta in grado di condurre verso una nuova condizione” di purificazione fisica e simbolica, per potersi poi abbandonare, con ritrovata leggerezza, all’amore e alla pienezza della vita.
Marina Abramović è nata a Belgrado nel 1946, poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Suo padre abbandonò la famiglia quando la figlia aveva soltanto diciotto anni e sua madre era una donna possessiva e anche violenta. Isolata dagli altri bambini, durante l’infanzia fu ripetutamente soggetta a maltrattamenti, picchiata e chiusa per ore al buio dentro un armadio. Secondo la psicanalista Janet Fischer, Marina fu indotta ad annientare la sua personalità, la sua determinazione e indipendenza, diventando l’oggetto delle violenze della madre. Una condizione che ha sopportato non solo durante l’infanzia ma anche da adulta. Marina aveva appena tre anni quando iniziò a disegnare, l’unica attività che la madre consentiva. A soli dodici anni realizzò la sua prima mostra di dipinti che raffiguravano i suoi sogni.

DALLA PITTURA ALLA PERFORMANCE

La pittura è il punto di partenza per Marina e anche l’inizio di una nuova esperienza per i visitatori di The Cleaner. La mostra si apre con Truck Accident, una serie di dipinti appartenenti alla seconda fase della sua produzione artistica. Due veicoli si scontrano con violenza su uno sfondo monocromatico. La pennellata leggera e i contorni sfumati non diminuiscono la suggestione dell’impatto. Ogni quadro trasuda l’energia estrema e violenta della collisione. In un’intervista con S. O’Hagan, Marina afferma di non saperne il motivo preciso, ma di provare grande attrazione verso quel particolare tipo di incidenti.
La mostra continua con la serie Clouds, riguardante la terza fase artistica della Abramović che coincide con il periodo di studi presso l’Accademia di Belle Arti a Belgrado, tra il 1965 e il 1970. La leggiadria e inafferrabilità tipiche delle nuvole sono completamente assenti in queste opere. Le nuvole di Marina, infatti, appaiono dense e pesanti come sassi dai contorni ben definiti. Sono per lo più rappresentate isolate e grevi su sfondi bianchi. Quale era l’obiettivo di un’artista così giovane? Stava forse dipingendo la sua sofferenza e solitudine? Non resta che domandarsi se queste nuvole riflettano la pesantezza di un’anima intrappolata. Quello che sappiamo per certo è che fu proprio dall’attenta osservazione del cielo che decise, negli Anni Settanta, di abbandonare la pittura per cercare nuovi strumenti di espressione artistica. Come l’artista racconta durante un’intervista con Klaus Biesenbach, “quando vidi gli aeroplani e le scie lasciate nel cielo ebbi una specie di rivelazione. Fu in quel preciso istante che smisi di dipingere. Per quale motivo dovevo usare uno strumento bidimensionale quando avevo la libertà di usare qualunque cosa volessi?”. Questo episodio segnò l’inizio della sua performance art.

Marina Abramović. The Cleaner, Palazzo Strozzi, Firenze. Foto Irene Fanizza

Marina Abramović. The Cleaner, Palazzo Strozzi, Firenze. Foto Irene Fanizza

RHYTHM 0

Le performance di Marina sono il cuore pulsante di The Cleaner, così come lo sono della sua arte. Rhythm 0, messo in scena a Napoli nel 1974, è una performance di grande impatto durante la quale l’artista, con un gesto di totale fiducia, mette il suo corpo a completa disposizione dei visitatori. Durante questa azione Marina dispose 72 oggetti su un tavolo, tra i quali una pistola carica e dei coltelli, invitando il pubblico a usarli sul suo corpo a proprio piacimento. Qualcuno le strappò gli abiti, altri toccarono le sue parti intime, altri ancora arrivarono persino a infliggerle dei tagli sulla gola per succhiarle il sangue. A un certo punto la costrinsero a impugnare la pistola e a puntarla contro sé stessa. The Cleaner ripropone il video di questa sconvolgente performance. Ad aumentare la cruda realtà delle immagini, sotto la proiezione è stato disposto il tavolo con i 72 oggetti usati. Rhythm 0 sembra riflettere la convinzione dell’artista che il dolore sia una porta verso una diversa condizione e che soltanto passando attraverso l’inferno sia possibile accedervi e trovare una nuova energia trascendentale.

CRISTALLI E LEGGEREZZA

Proseguendo nel percorso voluto da Marina, i visitatori si imbattono nella serie dei Transitory Objects, per ognuno dei quali vengono fornite precise indicazioni di utilizzo. Tra questi spicca Bed for Human Use, un divano in legno con braccioli in quarzo, le cui istruzioni suggeriscono di sedersi o sdraiarsi per tutto il tempo necessario ad assorbire l’energia dei cristalli. Non passano inosservate Shoes for Departure, due grandi cristalli a forma di scarpa, che secondo l’artista devono essere calzati a occhi chiusi allo scopo di raccogliere l’energia necessaria per una partenza trascendentale.  Marina sostiene che questi oggetti di cristallo siano uno strumento di passaggio a uno stato meditativo e rigenerativo che pone fine alla sofferenza. Un profondo senso di pace e leggerezza nasce dall’effetto catartico generato dalla violenza precedentemente vissuta.
Puliamo sempre la nostra casa”, ha più volte detto Marina Abramović, “ma la casa più importante da pulire è quella dove abita la nostra anima, e non lo facciamo mai”. Lasciamo Palazzo Strozzi con la sensazione che l’esperienza vissuta sia stata una sorta di personale viaggio di purificazione. La forza dell’impatto in Truck Accident spinge a cercare un più profondo livello di introspezione; la violenza perpetuata e il dolore vissuto nelle performance obbligano a prendere atto della sofferenza, mentre l’energia dei cristalli fornisce la forza necessaria a superare il dolore e trovare un nuovo equilibrio interiore.

‒ Irene Miccinesi

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