Dalle parole alle mani. Ferrara riscopre Ketty La Rocca

Padiglione d’Arte Contemporanea, Ferrara ‒ fino al 3 giugno 2018. Non solo una retrospettiva completa allestita in occasione degli ottant’anni dalla nascita dell’artista: la mostra dedicata a Ketty La Rocca espone anche un progetto di gioco-performance mai realizzato prima d’ora, un inedito allestimento ambientale e un raro audio originale del 1975.

Dalle prime opere ai video-tape che si sono rivelati autentici precursori del genere, la mostra Ketty La Rocca. Gesture, Speech and Word indaga la breve carriera dell’artista. Nel titolo dell’esposizione – organizzata in occasione della XVII Biennale Donna – compaiono i principali temi della sua ricerca, che ha preso il via attorno al 1964 quando, grazie al tramite di un suo collega, il maestro elementare Lelio Missoni, entrò in contatto con gli esponenti del Gruppo 70 e si avvicinò al movimento della poesia visiva.
Di questi anni sono i primi collage su legno di Ketty La Rocca (La Spezia, 1938 ‒ Firenze, 1976), come Non commettere sorpassi impuri o Sana come il pane quotidiano, nei quali si manifesta già una fusione tra immagine e parole pensata per “forzare i significati, per alterare i messaggi della pubblicità patinata, per agire su di essi in maniera ironica, evidenziare alcuni stereotipi di genere e della morale cattolica”, come sottolinea Francesca Gallo in catalogo.

Ketty La Rocca, Io tu e le rose, 1967. Collezione Carlo Palli

Ketty La Rocca, Io tu e le rose, 1967. Collezione Carlo Palli

LA MOSTRA

Al piano terra del Padiglione d’arte contemporanea di Ferrara si dà rilievo ai lavori sulla lettera J: nei primissimi Anni Settanta quel carattere simbolico diventa il protagonista di ironiche fotografie dove l’artista è ritratta mentre gioca con una scultura in plastica riproducente la lettera; l’opera tridimensionale dell’epoca è ora collocata al centro di un inedito allestimento ambientale rivestito di locandine rinvenute nell’archivio dell’artista e stampate per una mostra alla Galleria Duemila di Bologna.
Ma, con l’inizio del decennio, diventa sempre più evidente lo spostamento della poetica di La Rocca dall’uso dei codici verbo-visivi a un più prevalente impiego del corpo e del linguaggio gestuale che, secondo La Rocca, reca in sé “una ricchezza di elementi mitici, rituali, fantastici che sono patrimonio dell’umanità”. È il periodo di opere quali In principio erat (1971) composta da fotografie di mani accompagnate da frasi non sense, del videotape – uno dei primi – Appendice per una supplica (1972) e qualche anno dopo della performance Le mie parole, e tu? (1975) il cui audio originale in loop crea un senso di inquietudine e di spaesamento nello spettatore, che ascoltandolo può osservare degli oggetti personali, come la corrispondenza con curatori e galleristi, agende e appunti privati.

Ketty La Rocca, Craniologia n. 12, 1973 ca. Archivio Ketty La Rocca di Michelangelo Vasta, Firenze

Ketty La Rocca, Craniologia n. 12, 1973 ca. Archivio Ketty La Rocca di Michelangelo Vasta, Firenze

IL GIOCO-PERFORMANCE

A rendere ancor più chiara la tensione verso la performance è il progetto In principio erat verbum, del quale a Ferrara viene presentato il disegno originale di fronte a cui è allestita la struttura che ha permesso di mettere davvero in scena per la prima volta il “gioco-performance” con i suoi dialoghi rigorosamente muti, l’assenza di suoni, versi e rumori e la comunicazione basata solamente sulla fisiognomica e la gestualità delle mani.
Appare quindi chiara la ricostruzione a 360 gradi del lavoro di Ketty La Rocca, dal discorso, alla parola, al gesto: una mostra che finalmente, a quasi vent’anni dalle ultime esposizioni, riporta all’attenzione del pubblico un’anticipatrice di alcune fondamentali tendenze degli Anni Sessanta e Settanta.

Marta Santacatterina

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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