Stalking d’artista. Parola a Chiara Mu

In occasione di “Wine&thecity”, la rassegna partenopea andata in scena lo scorso maggio, Chiara Mu si è esibita in “Reality”, una performance site specific a cura di Adriana Rispoli. Una riflessione sul concetto di molestia, andata in scena sullo sfondo della fermata Municipio della metropolitana di Napoli.

Nell’asettica e sospesa atmosfera di una fermata della metro a Napoli, Chiara Mu (Roma, 1974) ha avvicinato degli uomini sconosciuti, uomini soli, sulle scale mobili: un paio di cuffie che rimandavano il brano Reality, tratto dal film Il tempo delle Mele, è stato il pretesto per un approccio fisicamente invadente. Dopo aver “molestato” la loro attenzione in un tempo vuoto, alla fine di un percorso condiviso, volutamente o meno, verso la banchina, l’artista ha consegnato agli uomini una lettera, che così terminava: “Senza reciprocità, senza uno scambio di desiderio non esiste alcuna intimità, alcuna reale vicinanza, alcuna verità tra le persone coinvolte. Esiste solo la prevaricazione. This is Reality”. Un atto poetico e allo stesso tempo rivoluzionario, generato dalla sua stessa dicotomia: avvicinare qualcuno e lasciarsi avvicinare. Perché, in fondo, imparare a difendersi dal presente significa innanzitutto donare agli altri la consapevolezza sullo stato delle cose. Di tutto questo e di molto altro ha parlato Chiara Mu.

Come ti fanno sentire le notizie quotidiane relative allo stalking e al femminicidio?
Mi lasciano incredula, basita di fronte alla ripetizione coatta del fenomeno, indice di modalità di controllo e sopraffazione profondamente radicate nel contesto culturale Italiano. Paradossalmente si parla di movente passionale ma quasi mai di cultura patriarcale, eppure la radice è quella.

La tua visione di donna a riguardo come si reindirizza artisticamente?
Da artista che lavora su condizioni e spazi specifici, e da donna che conosce molte delle dinamiche che la sottendono, ho scelto di occuparmene solo nei contesti in cui ciò ha un senso dal punto di vista relazionale e politico. Non mi interessa vestire la definizione di artista che produce lavori “per le donne, con le donne, sulle donne”. E se ritengo sia urgente intervenire su tematiche di genere, il mio referente scelto è l’uomo.

Chiara Mu, Reality - la lettera oggetto della performance

Chiara Mu, Reality – la lettera oggetto della performance

In Reality chi erano i tuoi soggetti e quale il tuo obiettivo?
Fermavo un uomo alla volta ricreando la scena de Il tempo delle Mele, sperando che lui si voltasse e vivesse questa nuvola di surreale, esasperato romanticismo con me. L’idea era dunque restituire una molestia serrata, insistente e profondamente destabilizzante perché, nonostante non fosse aggressiva, imbarazzava e spiazzava a causa del rovesciamento dei ruoli. Alcuni uomini sono fuggiti dal mio abbraccio innamorato, alcuni mi hanno detto che di sicuro stavo sbagliando persona e altri che erano già impegnati. A tutti dicevo: “Ma come? Stai camminando da solo, non è questo già un invito ad avvicinarmi? Lo provochi tu, non vedi?”.

Le scale mobili sono un luogo simbolico? Hanno una fascinazione prettamente estetico-formale o c’è di più?
Si trattava di produrre un progetto site specific sulla nuova fermata Municipio della Linea metropolitana 1, ma il giorno del sopralluogo sono stata costantemente interrotta da uomini che volevano importunarmi. Tornando in treno a Roma, ho capito che l’unico modo per lavorare sul senso di uno spazio, ai miei occhi, così anaffettivo e freddo, fosse quello di bucarlo con la modalità relazionale invadente e fantasiosa tipica della città che lo ospita. Le scale mobili poi mi sembrano un’ottima metafora spaziale di una condizione in cui si è al contempo mobili ma passivi.

Chiara Mu, Reality - assalto riuscito

Chiara Mu, Reality – assalto riuscito

Nella performance “per/contro un uomo alla volta” di Stigma, a cura di Francesca Guerisoli per l’evento milanese Con i tuoi occhi contro la violenza sulle donne, ne fai, condivisibilmente, una questione di genere. Non credi però che sia tutta la società, e non solo quella maschile, a far violenza a vario titolo sulle donne?
Infatti la problematica più grossa della cultura patriarcale è che si tratta di un fenomeno orizzontale dal punto di vista dei generi, inculcato in famiglia. Molte donne poi replicano questa modalità in chiave del tutto acritica, in maniera prevaricante, per affermare se stesse, per “portare i pantaloni”. Con Stigma quindi volevo sottolineare come la figura maschile negli ultimi 70 anni sia passata indenne attraverso ogni tentativo di acquistare consapevolezza culturale a riguardo. È inconcepibile che l’autocoscienza collettiva sia storicamente uno strumento usato solo dalle donne, che la violenza l’hanno subita e interiorizzata culturalmente da sempre. Dunque, se sei vittima ti tocca parlarne, se sei carnefice no?

Non trovi che Reality rappresenti una modalità relazionale fraintendibile, intesa più come una critica intrinseca alla fobia generazionale e universale che abbiamo dell’altro?
Il mio modo di lavorare è intrinsecamente legato al contesto e il contesto della città non racconta, secondo me, la fobia e l’isolamento. Se riproponessi questo intervento a Londra, in cui la velocità di circolazione rende ogni forma di contatto tra estranei molto difficile, il frame concettuale del lavoro cambierebbe completamente. Ma questo non rende Reality meno valida per come l’ho concepita, perché non produco format. Da artista sostengo che sia il contesto culturale dove il mio intervento si pone a fare il lavoro; il mio compito è quello di capirne le chiavi di volta per poter offrire ai miei visitatori, o a chi c’è, altri visioni possibili.

Rossella Della Vecchia

http://chiaramu.com

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Rossella Della Vecchia

Rossella Della Vecchia

Rossella Della Vecchia, classe 1986, è specializzata con lode in Storia dell'Arte Contemporanea (cattedra di Carla Subrizi, La Sapienza) con la tesi “Trouble Every Day: Tous Cannibales, la voracità da tabù ad arte, dall’arte alla società”. Da sempre interessata all’arte…

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