La distruzione del patrimonio archeologico di Gaza non cancellerà la cultura palestinese

Dopo il 7 ottobre 2023, si è intensificata l’azione sistematica di Israele ai danni dei siti archeologici, artistici e storici nei territori palestinesi. Una strategia di rimozione culturale denunciata anche da Onu e Unesco e condannata da archeologi di tutto il mondo

Una delle ultime denunce in ordine di tempo è quella firmata e condivisa dall’associazione Archeologi del pubblico impiego, nata nel 2015 per difendere e promuovere il ruolo, il valore e la tutela del patrimonio archeologico italiano: “Come archeologi impegnati nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale del nostro Paese, sentiamo l’esigenza e il dovere di esprimerci su quanto accade nella Striscia di Gaza e nel resto della Palestina. Se la priorità va senz’altro data all’emergenza umanitaria, ci sembra tuttavia necessario richiamare l’obbligo per una forza occupante di rispettare il diritto internazionale anche sul piano del patrimonio culturale. Al fianco della strage sistematica di civili e della creazione di un immenso campo di prigionia, che sta determinando sotto i nostri occhi un’immane carestia, si assiste infatti a una altrettanto sistematica distruzione del patrimonio storico e culturale. Archivi, biblioteche, monumenti architettonici, artistici e archeologici sono oggetto di una distruzione deliberata e diffusa”.

La distruzione del patrimonio archeologico palestinese

È questo il fulcro della nota diffusa solo qualche giorno fa dall’associazione a fronte di una situazione da tempo attenzionata dalle organizzazioni internazionali. A maggio 2025, un monitoraggio condotto dall’Unesco accertava danni a 110 siti culturali palestinesi a partire dall’attentato di Hamas del 7 ottobre 2023: 13 siti religiosi, 77 edifici di interesse storico e/o artistico, 3 depositi di beni culturali mobili, 9 monumenti, 1 museo e 7 siti archeologici. Una grave e indiscriminata crescita dei siti interessati dal sistematico processo di distruzione e rimozione della memoria storica e della cultura palestinese intensificato da Israele negli ultimi mesi (un precedente rapporto dell’Onu riferiva di 75 siti danneggiati, tra cui chiese, moschee, musei, monumenti e siti archeologici, come il porto di Anthedon, il Cimitero di epoca tardo-romana, il Palazzo del Pascià, l’antico Hamam dei Samaritani di al-Samra, la Grande Moschea Omari, ma anche la Israa University con il suo museo e la Chiesa di San Porfirio).

Il bombardamento del deposito dell’Ebaf a Gaza City

A settembre è toccato al deposito dell’Ebaf, la Scuola biblica e archeologica francese fondata nel 1890 a Gerusalemme, ubicata al piano terra di una torre di Gaza City colpita dall’aviazione israeliana. Il sito conteneva migliaia di pezzi tra anfore, mosaici e ceramiche raccolti in 30 anni di scavi, solo parzialmente messi in salvo prima che l’edificio fosse colpito (l’ordine di evacuazione è arrivato improvviso e tardivo). Gli altri sono andati distrutti per sempre.
Del resto, già nel febbraio 2025 la Banca Mondiale calcolava come il 53% dei beni culturali della Striscia risultasse danneggiato o completamente distrutto. Mentre una stima pubblicata su Nature ad agosto scorso riporta danni a 226 su 316 siti archeologici presenti nei territori palestinesi,denunciando anche la crescita del commercio illegale di beni archeologici dell’area.

Il Palazzo del Pascià di Gaza, prima della distruzione. Photo Ramez Habboub, via Wikimedia Common
Il Palazzo del Pascià di Gaza, prima della distruzione. Photo Ramez Habboub, via Wikimedia Common

Perché Israele sta distruggendo il patrimonio culturale palestinese?

Una distruzione in gran parte mirata: un rapporto analitico di una commissione di indagine indipendente delle Nazioni Unite, approvato nel luglio 2025 dallo Human Rights Council, riconduce i danni a bombardamenti nel 71% dei casi; nel restante 29%, però, sono i bulldozer o i carri armati a distruggere siti culturali (come il Museo Al Mat’haf, primo museo archeologico di Gaza, saccheggiato, incendiato e demolito). E questo evidenzia l’intenzionalità di una strategia che l’Onu stessa definisce “parte di un attacco esteso e sistematico contro la popolazione civile e di un disegno deliberato di cancellazione culturale”. Se non bastasse, un ulteriore campanello d’allarme arriva dalla Cisgiordania, dove negli ultimi 5 mesi lo Stato maggiore per l’Archeologia dell’Amministrazione Civile israeliana ha dichiarato “siti di interesse archeologico” 60 località, ufficialmente con l’obiettivo di tutelarli, in realtà per mascherare il processo di sfollamento delle comunità palestinesi dalle proprie terre, per fare spazio ai coloni.

Eppure gli attacchi dell’Idf non prestano troppa attenzione a ciò che mettono nel mirino. Proprio in Cisgiordania non è stato risparmiato il sito romano di Deir Sam’an, situato vicino a Salfit, che vantava resti di una fortezza, un monastero bizantino e un frantoio islamico. Ed è difficile stimare quel che resta nella Striscia di Gaza, che vantava un ricco patrimonio archeologico con vestigia dell’età del bronzo, romane e bizantine – come il monastero di Sant’Ilarione, il più antico del Medio Oriente – oltre agli scavi di Gerico, dove sono conservati insediamenti agricoli e aree di occupazione umana dal V all’VIII secolo. Per tenere traccia costante della distruzione del patrimonio di Gaza, a partire dal 2024 un gruppo di storici, archeologi, politologi, geografi, sociologi ed esperti di conflitti ha messo le proprie competenze a disposizione del progetto online Gaza. Inventario di un patrimonio bombardato.

La mostra all’Institut du Monde Arabe di Parigi

Il 13 settembre scorso, anche la Confederazione Italiana Archeologi ha preso posizione con un comunicato (Perché bombardare un museo?), a seguito dell’attacco al deposito EBAF: “Ci chiediamo se i 5000 anni di storia di Gaza siano parte di ciò che selettivamente verrà sradicato da questo pezzo di terra insieme ai suoi abitanti e se la giustificazione di una guerra al terrorismo si annidi nei vasi e nei reperti. La guerra mira, evidentemente, a distruggere l’idea stessa che a Gaza possa essere esistito qualcosa di diverso da ciò che i nuovi occupanti vorranno, esattamente come è già successo e continua a succedere nell’intero territorio israeliano, inclusi i territori occupati illegalmente in Cisgiordania”.
Nel frattempo, fino al 2 novembre 2025, l’Institut du Monde Arabe di Parigi ospita la mostra Tesori salvati di Gaza – 5000 anni di storia, curata da Élodie Bouffard, perché “niente è peggio dell’abbandono e dell’oblio”, sottolinea il presidente dell’Istituto parigino, Jack Lang, nell’omaggiare la storia e il presente di Gaza. La mostra espone centinaia di pezzi in arrivo dal MAH di Ginevra, dal 2007 diventato rifugio di una collezione archeologica di circa 529 reperti appartenenti all’Autorità nazionale palestinese, che non hanno mai potuto fare ritorno a Gaza. Una raccolta che diventa monito contro le distruzioni in corso e rivela al mondo la densità e la complessità culturale di una storia che non può essere cancellata.

Livia Montagnoli

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