La grande scultura neoclassica di Antonio Canova. A Napoli

Attraverso un inedito e corposo nucleo di dodici grandi marmi e oltre centodieci opere fra bozzetti e gessi, la città partenopea celebra il massimo esponente del Neoclassicismo in scultura. Con una poderosa mostra al MANN.

“L’ultimo degli antichi e il primo dei moderni” è una definizione perfetta per descrivere sinteticamente l’intero concetto celato dietro l’operato del più grande scultore neoclassico che fece innamorare sovrani e imperatori di mezza Europa. Un’eco, quella canoviana, irresistibile, che si spinse addirittura fino alla lontana e fredda Russia della zarina Caterina II e che gli valse il titolo di “novello Fidia”.
La mostra allestita presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, uno dei più importanti templi dedicati all’arte classica, è il luogo perfetto per glorificare la maestria di Antonio Canova (Possagno, 1757 – Roma, 1822), poiché lo scultore veneto deve molto all’ex capitale borbonica in termini di formazione, ispirazione e perfezionamento della propria arte. Lo scenario partenopeo del 1780, a seguito ovviamente del primo soggiorno romano avvenuto un anno prima, fu una tappa fondamentale per lo studio dell’antico di epoca romana, greca ed etrusca. Proprio il confronto fra modelli classici e produzione canoviana è il tema principale dell’esposizione Canova e l’Antico curata magistralmente da Giuseppe Pavanello, tra i massimi studiosi del maestro neoclassico.
Il percorso di questo ricco itinerario dedicato a Canova inizia nell’ampio atrio dell’istituzione napoletana, prosegue lungo lo scalone del museo dominato dalla colossale statua di Ferdinando IV per terminare nello sfarzoso Salone della Meridiana. Come affermato dallo stesso direttore del MANN, Paolo Giulierini, si è optato a favore di un allestimento elegante, non eccessivo e in sintonia con la struttura museale e le già presenti sculture in collezione che costituiscono il patrimonio antico di Napoli.

Antonio Canova, Amore e Psiche stanti, 1803, marmo, cm 150 х 49,5 х 60. Photo © Alexander Koksharov, San Pietroburgo, Museo Statale Ermitage, 2019

Antonio Canova, Amore e Psiche stanti, 1803, marmo, cm 150 х 49,5 х 60. Photo © Alexander Koksharov, San Pietroburgo, Museo Statale Ermitage, 2019

LA TECNICA E LE OPERE

Dialogo è dunque la parola d’ordine di questa mostra, che inizia saggiamente presentando al visitatore l’officina-atelier di Canova, per comprendere tutte le fasi che compongono il processo tecnico produttivo celato dietro le creazioni finali del grande maestro del marmo. Una serie di processi di lavorazione che gli consentivano di non affaticarsi, lasciando agli allievi dello studio i compiti esenti da qualsiasi forma di creatività. Ed è in questa area dell’esposizione che si dimostrano di inestimabile valore tutti i modelli, prevalentemente in creta e gesso, provenienti dalla Gipsoteca di Possagno, paese natale di Canova. Emozionante risulta il gioco di proporzioni fra il delicatissimo modellino in gesso di Ferdinando IV di Borbone con alle spalle il suo equivalente in marmo di Carrara di oltre tre metri d’altezza.
La monumentale statua fu commissionata a Canova nel 1800 e, come sostenuto dal curatore Pavanello, ritrae il sovrano non come la dea Minerva, abituale riferimento allegorico, bensì come il nuovo Pericle rappresentato “all’eroica”, avvolto in un mantello e con il capo coperto dall’elmo greco tipico nelle rappresentazioni classiche del politico ateniese.
Superato lo scalone del museo si giunge al Salone della Meridiana, ambiente in cui sono stati allestiti i grandi gessi e i prestigiosi marmi provenienti dall’Ermitage di San Pietroburgo. Sotto la volta decorata da un settecentesco affresco di Pietro Bardellino si trovano gli accostamenti fra statuaria classica e canoviana più intriganti. Interessante è sicuramente il confronto tra il gesso di Paolina Borghese Bonaparte come Venere vincitrice, modello della nota statua in marmo conservata presso la Galleria Borghese di Roma datata intorno al 1808, e un sarcofago in terracotta di origine etrusca del I secolo a.C. Rimanendo nella schiera famigliare napoleonica si passa ad ammirare Amore e Psiche (1803), altro gruppo canoviano commissionato da Joséphine de Beauharnais, prima moglie di Napoleone. La coppia marmorea, attraverso l’eleganza della posa, la morbidezza dei corpi e la dolcezza dei volti, riesce a creare un dialogo ricco di pathos con il gesso di Adone e Venere, modello per la copia in marmo datata 1789-94 e conservata al Musée d’Art et d’Histoire di Ginevra. Quest’ultima, come anche le altre sculture di proprietà della prima consorte dell’imperatore francese, fu acquistata dallo zar Alessandro I nel 1815.

Antonio Canova, Le grazie, 1812-16, marmo, cm 182 х 103 х 64. Photo © Leonard Kheifets, San Pietroburgo, Museo Statale Ermitage, 2019

Antonio Canova, Le grazie, 1812-16, marmo, cm 182 х 103 х 64. Photo © Leonard Kheifets, San Pietroburgo, Museo Statale Ermitage, 2019

IL TEMA DELLA DANZA

Altro importante prestito dall’Ermitage è la Danzatrice con le mani sui fianchi (1811), eccezionale esempio dell’influenza esercitata sulla creatività di Canova dalle raffinate pitture pompeiane ed ercolanesi rappresentanti ninfe, muse e altre figure mitologiche nell’atto di danzare. Un tema iconografico di particolare fortuna per lo scultore che, fra il 1805 e il 1806, realizzò i poco conosciuti monocromi. Presenti in mostra e provenienti dal Museo Civico di Bassano, essi risultano caratterizzati da un’eleganza nella composizione e da una vena di sottile erotismo. Le danzatrici di questi monocromi di grandi dimensioni paiono sospese nell’aria esattamente come certe figure antiche definite dallo stesso Johann Joachim Winckelmann “fluide quanto il pensiero e belle come se fossero fatte per mano delle Grazie”. Affermazione, quella del massimo teorico ed esponente del Neoclassicismo, che introduce al gruppo scultoreo canoviano in assoluto più acclamato: Le tre Grazie (1812-16). Antonio Canova, in quest’ultima committenza per Joséphine de Beauharnais, celebra uno dei temi più diffusi nell’arte classica attraverso una rilettura del tutto alternativa della posizione e della postura dei soggetti. Le tre figlie di Zeus, attraverso un armonioso e dinamico gioco di abbracci, sono colte in un sussurrante colloquio. Un’opera marmorea che esalta le sinuose forme del corpo femminile prefiggendosi come un vero e proprio inno alla bellezza ideale.
Imitare, non copiare gli antichi” per “diventare inimitabili”, scriveva sempre Winckelmann a proposito della massima aspirazione per un artista e senza aver mai potuto ammirare una singola opera dello scultore di Possagno. Un vero e proprio monito a cui Antonio Canova resterà fedele per tutta la sua vita artistica.

Alexander Stefani

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Alexander Stefani

Alexander Stefani

Nato a Bolzano nel 1990, ha conseguito la laurea triennale in Beni Culturali indirizzo storico artistico presso l'Ateneo di Lettere e Filosofia di Trento. Coltiva da sempre una dedizione per la storia dell'arte, in particolare dei secoli XIII, XIV, XVII…

Scopri di più