“Abitare il tempo” lontano da Gaza: Taysir Batniji porta in mostra Modena il dramma della Palestina 

Le opere esposte raccontano il tema dell'esilio e del ritorno, della memoria, dei diritti e dell'identità negata. Alla Fondazione Ago di Modena la biografia dell’artista nato nella Striscia di Gaza attraversa l'intero percorso espositivo

Da una parte ci sono la delicatezza con cui ti introduce dentro la sua arte e il modo in cui ti racconta la genesi un’opera. Dall’altra il peso del suo lavoro nato dall’orrore che si porta dentro, dal dolore stratificato che lascia una guerra infinita insieme al ricordo ancora vivo di tante perdite, anche tra i suoi cari. La contrapposizione tra la dolcezza del suo animo, del suo esprimersi e la durezza della storia che si porta dentro e “alle spalle” è la prima cosa che ti colpisce parlando con Taysir Batnuji (Gaza, 1966) che, nato all’interno della Striscia, è tra i più significativi artisti della diaspora palestinese, protagonista della nuova mostra di Fondazione Ago a Modena. E già ascoltandolo raccontare l’esposizione articolata nelle sale della Palazzina dei Giardini Ducali, prima ancora di addentrarsi nel percorso, si ha la sensazione di quel in Between in cui Batniji dice di vivere da sempre. Di quel “vivere nel mezzo” che non ti scrolli di dosso, neanche se da decenni ormai vivi e lavori in una delle città più belle del mondo, come Parigi

TaysirBatniji, AbitareIlTempo ph© Rolando Paolo Guerzoni
TaysirBatniji, AbitareIlTempo ph© Rolando Paolo Guerzoni

“Abitare il tempo” in Palestina, la mostra alla Fondazione Ago a Modena 

Il titolo scelto per la mostra, che comprende un centinaio di opere tra fotografie, disegni, sculture e installazioni, è Abitare il tempo. Abitare il tempo per l’impossibilità di abitare lo spazio. Quello dove lui non può tornare, lo spazio di casa. Quello che non esiste più, che si è trasformato in un cumulo di macerie. Nella prima personale ospitata in un’istituzione italiana c’è tanta vita di Taysir Batniji. Le opere raccontano di un profondo senso di sradicamento e smarrimento. E non potrebbe che essere così per un artista che (nato a Rimal, quartiere di Gaza City, nel 1966) appena pochi mesi prima dell’occupazione israeliana della Striscia, ha vissuto una vita sempre divisa fra la terra natale e l’esilio: nel 1994 ha lasciato per la prima volta la Palestina, si è trasferito a Napoli e a seguire in Francia dove si è diplomato all’Accademia di Belle Arti. Per anni ha vissuto e lavorato Oltralpe riuscendo a tornare di rado a casa. Fino a quando il blocco dei confini della Striscia da parte di Israele ha reso definitivamente impossibile il ritorno alla sua terra di origine: a Gaza, per l’ultima volta, è tornato nel 2022. 

Batniji e i mazzi di chiavi alla Fondazione Ago di Modena 

Condensati nelle opere ci sono più temi e sentimenti: quelli di appartenenza e di memoria, di ritorno, di diritti e identità, fino a quello dell’esilio, centrale nel lavoro di Batniji. La tragedia di Gaza, nell’immaginario dell’artista palestinese prende la forma delle chiavi di casa. Centinaia, migliaia, fotografate per rappresentare chi, una casa oggi non ce l’ha più. Distrutta dalle bombe o lasciata perché costretti ad allontanarsi e a vivere nei campi profughi. 
Nella sezione dedicata ai mazzi di chiavi sotto ogni scatto si legge la descrizione di chi era il proprietario, il quartiere in cui l’abitazione si trovava. Portachiavi semplici, come quelli che tutti usiamo ogni giorno: alcuni con il simbolo della Palestina altri con charme appesi, semplici mazzi che un tempo sono serviti ad aprire porte che oggi sono macerie in un mosaico di tante storie che insieme danno il senso di quella più grande che il suo popolo vive da anni. Tra quelle chiavi c’è anche la sua, quella della casa dove Batniji viveva. 

TaysirBatniji, AbitareIlTempo ph© Rolando Paolo Guerzoni
TaysirBatniji, AbitareIlTempo ph© Rolando Paolo Guerzoni

Le impronte delle strade di Gaza in mostra a Modena 

A seguire c’è la sezione dedicata alle impronte delle strade di Gaza, echi di cammini perduti realizzati con disegni a frottage. E poi la serie di scatti delle watchtowers, le torri di guardia israeliane in Cisgiordania che scandiscono la politica del controllo coloniale. Oppure le foto sfocate, veri e propri screenshot dei video crudi che documentano gli attacchi su Gaza. L’artista ha voluto catturarli così, prima che diventassero nitidi. 

A Modena Taysir Batniji non vuole farsi portatore di dolore ma di verità 

È Batniji stesso a spiegare che con la sua arte non vuole indugiare nel dolore ma farsi piuttosto portatore di una verità, in modo quasi archivistico. Quelle dell’artista palestinese sono opere che vogliono suscitare una riflessione ma senza concessioni al sensazionalismo né al vittimismo. A tratti, anzi, il suo sguardo si tinge quasi di un’ironia amara. 
All’ingresso della mostra, ad esempio, è ospitata l’opera Non di solo pane vive l’uomo, composizione su cui si leggono le parole dell’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani: “Ogni uomo ha il diritto di scegliere il luogo in cui vivere”. Una frase che sembra scolpita sul marmo e che invece l’artista palestinese ha inciso su più di 350 saponette di Marsiglia, un oggetto destinato, per sua natura, a degradarsi e a sciogliersi, soprattutto se “qualcuno”dice Batniji “decide di lavarsene le mani”

Esposte a Modena c’è anche un mazzo di chiavi in vetro. Su una mensola c’è una clessidra adagiata dove la sabbia non scorre più, è immobile a rappresentare il tempo cristallizzato in una fragile attesa. Oppure una valigia piena di sabbia dove è di nuovo il tema dell’esilio a prendere forma. 

Gli screenshot delle videochiamate e le foto dei padri nella mostra di Taysir Batniji 

Proseguendo nel percorso dell’esposizione appesi alle pareti ci sono anche sono gli screenshot che l’artista ha realizzato nel corso di una serie di videochiamate con la madre e con gli altri familiari che si trovavano in Palestina. Il titolo della serie è Distruptions, tutte fotografie realizzate tra il 2015 ed il 2017 che ci riportano attimi di vita quotidiana, punti di contatto tra cuori lontani, separati dalla distanza e soprattutto dal dolore dettato da un perenne senso di precarietà. 
A completare la mostra poi le foto della serie Fathers (Padri) che Batniji ha realizzato nel 2006 in cui ha raccolto tanti degli scatti che spesso si trovano nelle botteghe di Gaza e che ritraggono il fondatore del negozio, spesso il padre, appunto, di chi si trova lì oggi al lavoro. Un’opera con cui l’artista palestinese vuole raccontare un mondo e un tempo sospesi. 

Ho l’impressione di vivere un incubo dal quale non riesco a svegliarmi” ha commentato con un filo di voce l’artista nel corso della presentazione modenese. “Ho perso molti (più di cento) membri della mia famiglia, amici e vicini. Il mio quartiere e la casa in cui sono nato oggi non esistono più. E con loro sono scomparsi anche il racconto intimo della mia vita, le mie radici, i miei ricordi, senza contare la speranza di poterci tornare un giorno. Difficile prevedere il futuro – Dobbiamo guardarvi con un filo di speranza che ci saranno giorni migliori”. 
Abitare il tempo è molto più di una mostra. Visitarla significa compiere un atto di profonda riflessione attraverso lo sguardo che ci regalano opere che, come poche altre, sanno parlare al cuore e alla mente di chi guarda. 

Francesca Galafassi 

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