Una grandiosa mostra per raccontare tutto il Rinascimento artistico di Pavia 

Dalle prime opere pavesi di Vincenzo Foppa, padre del Rinascimento lombardo, ai capolavori di Ambrogio Bergognone dipinti per la Certosa. Per concludere con i magnifici arazzi fiamminghi che illustrano gli eventi della Battaglia di Pavia del 1525: evento epocale di cui questa mostra al Castello Visconteo di Pavia commemora i 500 anni

Tutto avvenne in quel 24 febbraio 1525: una data che, seppur a noi posteri risulti ormai abbastanza vaga, contribuì a segnare i destini dell’Italia e dell’Europa per molti decenni a venire. Il teatro di quanto accadde quel giorno è Pavia, o meglio, il grande parco che si estendeva – e in parte si estende ancora – attorno al Castello Visconteo. Castello, che non a caso è oggi il luogo in cui si snoda questa mostra: un percorso artistico, ma anche storico. Un itinerario che non vuole solo ricostruire i fatti attorno alla Battaglia di Pavia, quale scontro tra l’Impero e le truppe francesi che sancì il nuovo assetto politico del territorio. Grande è anche l’ambizione artistica: cogliere l’occasione di questa importante ricorrenza per fare qualcosa che finora non era mai stato fatto propriamente nella storia dell’arte. Colmare il “vuoto” – la nebbia – presente tra le pagine di storia dell’arte quando si tratta di raccontare le vicende dei pittori che lavorarono a Pavia tra Quattro e Cinquecento. Una stagione inequivocabilmente ricca, con tante influenze esterne, che andavano dai Fiamminghi a Gentile da Fabriano, a Pisanello fino a Leonardo e Bramante, ma anche estremamente confusa in termini di attribuzioni e datazioni. Ora, grazie agli studi alle spalle della mostra, il quadro è un po’ più chiaro e rivela al pubblico un incredibile patrimonio di storie curiose e incroci artistici affascinanti. E non si tratta solo dei maggiori protagonisti – Vincenzo Foppa, Ambrogio Bergognone e Bernardo Zenale – ma anche di figure di passaggio o “piccoli maestri”, alcuni ancora senza nome e cognome preciso. Non è dunque un’opera compiuta, ma piuttosto una ricerca “in fieri”, di cui la mostra, curata da Francesco Frangi, Pietro Cesare Marani, Mauro Natale e Laura Aldovini, rappresenta una tappa importante e soprattutto un’occasione di divulgazione.   

La mostra sulla battaglia di Pavia 

Quando nel 1519 muore l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo, Francesco I, re di Francia, spera di esserne il successore. Le cose non vanno così: sale al trono Carlo, nipote di Massimiliano, già re di Spagna, il che comporta una minaccia concreta per i suoi territori italiani. 
Nel 1521, la guerra contro di lui diventa inevitabile: Milano cade in mano spagnola e i vani tentativi di riconquista da parte dei Francesi spingono Francesco I a scendere in Italia di persona.  
A fare da antefatto di cornice alla mostra è l’autunno del 1524, con l’immenso esercito francese composto da oltre 30.000 soldati a piedi, tra cui lanzichenecchi tedeschi, svizzeri, fanti italiani e francesi. Le milizie imperiali spagnole, numericamente inferiore, vedono arrivare i nemici e si ritirano oltre l’Adda, abbandonando Milano, ma lasciando guarnigioni in diverse città, tra cui Pavia. È proprio sotto le mura di questa città che, il 28 ottobre 1524, Francesco I decide di accamparsi per battere le forze imperiali una volta per tutte. 
Ma la città non intende cedere facilmente. 

La battaglia di Pavia 

Mentre la tensione cresce e gli eserciti si fronteggiano in schermaglie quotidiane, incursioni notturne e piccoli combattimenti, il marchese di Pescara escogita un astuto piano. Nella notte tra il 23 e il 24 febbraio 1525, le truppe imperiali si mettono in marcia fingendo una ritirata. Mentre il grosso delle truppe si dirige in direzione di Lardirago, alcuni gruppi di fanteria leggera coprono l’operazione con rumori diversivi. Dopo una nottata faticosa per aprire delle brecce nel muro del Parco, all’alba Alfonso d’Avalos penetra e si dirige verso il quartier generale francese; la loro resistenza è solo temporanea. Le sorti della battaglia volgono a favore degli imperiali; Francesco I, il re francese, sconvolto da quanto sta avvenendo sotto i suoi occhi, tenta invano di fuggire e viene fatto prigioniero. La battaglia di Pavia, durata meno di due ore, si conclude con una vittoria schiacciante per Carlo V.  

Pavia 1525, installation view at Castello Visconteo, Pavia, 2025
Pavia 1525, installation view at Castello Visconteo, Pavia, 2025

La mostra al Castello Visconteo 

Con un corpus incredibilmente ricco e variegato, la mostra costruisce un dialogo tra dipinti, disegni, sculture, codici miniati e oggetti d’arte decorativa provenienti da prestigiose istituzioni italiane ed internazionali. La cronologia parte al limitare del passaggio di testimone tra i Visconti e gli Sforza. Nel 1447, con la morte di Filippo Maria Visconti, a Milano nasce la Repubblica Ambrosiana; tre anni dopo Francesco Sforza, capitano di ventura emiliano, eredita il ducato “legittimato” dal matrimonio con Bianca Maria Visconti. È l’inizio di un periodo di grande fioritura artistica e culturale, che prosegue la vivace politica già avviata dalla dinastia precedente responsabile della costruzione del Castello e dell’avvio del cantiere della Certosa. Quando il Castello arriva nelle mani degli Sforza è ridotto allo stato di “ruina”: si intravvede ancora l’antico splendore – erano stati chiamati dai Visconti artisti del calibro di Giovannino de Grassi, Jean d’Arbois, Michelino da Besozzo, Gentile da Fabriano, Pisanello – ma un restauro è necessario. Così, i duchi incaricano Bonifacio Bembo, pittore cremonese a cavallo tra Tardogotico e Rinascimento, di mettere mano alle decorazioni danneggiate e realizzarne di nuove. Pochissimo rimane della sua opera, ma i documenti sono sufficienti a rievocare un intervento importante che apre la strada a successivi sviluppi. È l’inizio di un’ininterrotta stagione che arriverà fino alla Battaglia. 

Foppa, Donato de’Bardi e la Certosa 

Il percorso espositivo, introdotto dal capolavoro di Foppa – la Pala Bottigella, già in collezione del Castello – si apre con Donato de’ Bardi, pittore attivo in prevalenza in Liguria, con cui Foppa intesse un “dialogo a distanza” (è di una generazione precedente) riprendendone le linee influenzate dall’arte fiamminga.  
Si prosegue con un ampio focus sulla Certosa: il colossale progetto avviato nel 1396, che poi raggiunge la sua climax all’inizio degli Anni ‘90 del Quattrocento, quando il Moro ne fa un cardine di politica culturale nella sua strategia di conquista del titolo di Duca. Tutto deve essere pronto per il 1495: pur di accelerare i lavori, egli commissaria il cantiere e fa in modo che il progetto arrivi a compimento in tempo per la sua incoronazione. A rievocare lo splendore che raggiunge la chiesa in quegli anni c’è il grande Polittico commissionato a Bergognone, qui riunito per la prima volta dopo lo smembramento. A contornarlo, rilievi, libri miniati e altri dipinti: tutte testimonianze della ricchezza delle committenze sforzesche per il contesto certosino. Si uniscono al coro della Certosa anche Perugino e numerosi altri “piccoli maestri” pavesi e lombardi che al limitare del secolo sono attratti dal cantiere e danno il proprio contributo allo splendore della chiesa. Jacopino de Mottis – figlio della maggiore bottega di vetrai del territorio – e Bernardo Zenale sono due degni rappresentanti.  

Pavia e il Duomo 

Il corpo centrale del percorso espositivo amplia lo sguardo a tutta la città di Pavia, con un’attenzione particolare al Duomo Nuovo, quale conseguenza di un vero moto di orgoglio civico che vede i pavesi, finanziare il cantiere di una chiesa che si vuole più bella di Santa Sofia a Costantinopoli. Ne deriva un crogiolo di artisti tra cui Bramante, Leonardo, Francesco di Giorgio Martini e altri che incaricati di occuparsi del progetto. Per rievocarne la costruzione non c’è solo il monumentale modello ligneo, ma anche schizzi, disegni e pale d’altare che un tempo ne adornavano gli interni. Per l’occasione, un grande corpus di opere disperse in tutto il mondo si riunisce per la prima volta nella storia della città. Oltre all’Incisione Prevedari, rarissima stampa eseguita su disegno di Bramante da Bernardino Prevedari nel 1481, sono stati concessi anche preziosissimi disegni di Leonardo, che rievocano i soggiorni pavesi del maestro. 

Gli arazzi fiamminghi al Castello di Pavia 

A conclusione del percorso espositivo, il pubblico si ritrova immerso nella monumentale raffigurazione visiva della battaglia. Sette arazzi provenienti dal Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli, concessi tutti in prestito per l’occasione, figurano appesi alle pareti. Come immense finestre sulla storia e sui momenti chiave del conflitto pavese. Tutti intessuti negli anni 1528-1531 dalla manifattura fiamminga di Jan e Willem Dermoyen, su disegni di Bernard van Orley, celebrano la vittoria delle truppe imperiali di Carlo V sull’esercito francese guidato da re Francesco I. 
Li si può vedere dunque riuniti nella città che li ha ispirati, dopo un importante intervento di restauro che ne amplifica il potenziale narrativo e visivo, in cui la battaglia è immortalata con una sensibilità pittorica e simbolica che solo i maestri del dettaglio nordici avrebbero potuto cogliere. 

Emma Sedini 

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Emma Sedini

Emma Sedini

Etrusca e milanese d'origine in parti uguali, vive e lavora tra Milano e Perugia. Dopo la Laurea Magistrale in Economica and Management for Arts, Culture, Media and Communication all'università Luigi Bocconi di Milano e un corso professionale in Digital Marketing…

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