Riapre lo Studio Museum di Harlem. Ecco come è diventato il più importante polo per l’arte nera contemporanea 

Con una mostra dedicata a Tom Lloyd e dopo sette anni di ristrutturazione, riapre al pubblico lo storico Studio Museum di Harlem, fondamentale punto di riferimento per il sostegno agli artisti neri

New York City conta 8,4 milioni di abitanti. Manhattan poco più di 1,5, Harlem oltre 200mila: più di Brescia o Reggio Emilia. Senza questi numeri è impossibile capire una realtà sorprendente come lo Studio Museum in Harlem. Lo Studio Museum aveva dieci milioni di dollari di riserve all’inizio del progetto con una dotazione pari a zero. L’apertura, avvenuta lo scorso 15 novembre con una celebrazione comunitaria gratuita, è stata possibile grazie a una campagna di raccolta fondi condotta dalla sua direttrice, Thelma Golden, una forza della natura nel mondo dell’arte statunitense e figura famosa ad Harlem, ha raccolto 307 milioni di dollari: una cifra inaudita per un’organizzazione culturale di queste dimensioni. Il denaro fornito dall’amministrazione cittadina, da singoli donatori, da fondazioni e partner aziendali ha mantenuto a galla le attività e il programma espositivo dello Studio Museum durante sette anni (tanto è durata la ristrutturazione parecchio tormentata) e oggi costituisce anche una riserva di cassa di 23 milioni di dollari e una dotazione di altri 52 che hanno garantito iniziative svoltesi random in strutture che hanno fatto da saltuari ospiti.  

Veduta della facciata con l'opera di David Hammons, Untitled flag (2004). Courtesy Studio Museum in Harlem. Photo: © Albert Vecerka/Esto
Veduta della facciata con l’opera di David Hammons, Untitled flag (2004). Courtesy Studio Museum in Harlem. Photo: © Albert Vecerka/Esto

Il nuovo assetto dello Studio Museum di Harlem 

Il nuovo edificio di 7.700 metri quadrati progettato da Adjaye Associates con Cooper Robertson sorge ora sulla 125esima come riaffermazione dell’arte nera contemporanea. Costato 160 milioni di dollari si snoda in sette piani che hanno raddoppiato lo spazio espositivo originale: per il suo costo si tratta di un’impresa che solo istituzioni molto più ricche di solito affrontano. Al suo esterno si presenta come un saggio architettonico sulle varietà di nero e antracite con cubi di pietra impilati percorsi da ampie vetrate di forma diversa ma sempre ampie dimensioni. La bandiera Untitled (2004) di David Hammons, nei colori del movimento panafricano, appesa in bella vista all’esterno e le lettere al neon lampeggianti di Glenn Ligon, ME/WE, (Give Us a Poem, 2007), troneggianti nell’atrio d’ingresso lo profilano senza incertezze. 

Il programma di residenze dello Studio Museum 

Fondato nel 1968 da un gruppo eterogeneo di artisti, attivisti e filantropi, lo Studio Museum di Harlem è noto per il suo ruolo catalizzatore nella promozione del lavoro di artisti di origine africana. Il programma Artist-in-Residence concepito nel 1968 alla sua nascita ha svolto un ruolo catalizzatore dello Studio Museum di Harlem nel promuovere il lavoro di artisti visivi di origine africana e afro-latina. Fa parte della sua prima missione che era quella di opporsi alla quasi totale esclusione degli artisti di origine africana dai musei tradizionali, dalle gallerie d’arte commerciali, dalle istituzioni accademiche e dalle pubblicazioni scientifiche. Da allora, ogni anno, a tre nuovi artisti offre per undici mesi uno spazio studio, supporto finanziario, orientamento istituzionale, assistenza per lo sviluppo professionale, supporto alla ricerca e una mostra conclusiva con una pubblicazione di accompagnamento. 

Le mostre dello Studio Museum di Harlem 

Al terzo piano del museo in uno spazio unico è allestita la personale dedicata a Tom Lloyd (New York, 1929 – 1996) è la prima ricognizione istituzionale sulla carriera del pioniere artista, educatore e attivista le cui sculture di luce elettronica hanno inaugurato lo Studio Museum di Harlem proprio nel 1968. Quando lo Studio Museum gli affida un loft in affitto sulla Fifth Avenue, Lloyd vi costruisce Electronic Refractions II, allineando colorate sculture astratte con luci che lampeggiavano secondo schemi programmati elettronicamente ispirandosi a elementi urbani quotidiani come i semafori e i tendoni dei teatri. Lloyd realizza sculture con oggetti comuni, tra cui luci di Natale e coperture in plastica per le luci di retromarcia delle Buick, e materiali provenienti dalla RCA. Lo fa insieme ad Alan Sussman, ingegnere della Radio Corporation of America in una pionieristica collaborazione interdisciplinare che intendeva colmare il divario tra arte e scienza. Tra le mostre inaugurali l’altra centrale è senza dubbio From Now: A Collection in Context, programma a rotazione di opere della collezione permanente, installate su due piani, ma anche sparse in tutto il museo. La collezione permanente abbraccia oltre 200 anni di storia e comprende quasi 9mila opere d’arte di oltre 800 artisti. L’installazione esplora dinamicamente l’evoluzione del canone artistico attraverso interessi, pratiche e voci degli artisti di origine africana. Nelle sale del quarto piano spiccano tra gli altri Emma Amos, Jean-Michel Basquiat, Lauren Halsey, David Hammons, Lyle, Barkley L. Hendricks, Juliana Huxtable, Jennie C. Jones, Seydou Keïta, Kerry James Marshall, Chris Ofili, Faith Ringgold, Lorna Simpson, e Kara Walker. 
 
Aldo Premoli 
 
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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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