Azzedine Alaïa e Cristobàl Balenciaga come non li avete mai visti in una mostra a Prato
Nel cinquantesimo anniversario della sua fondazione, il Museo del Tessuto di Prato celebra due maestri assoluti della couture francese: Azzedine Alaïa e Cristóbal Balenciaga. Con una mostra che mette in scena la loro parentela estetica e la comune ossessione per la forma
Alaïa / Balenciaga. Scultori della forma è molto più di un’esposizione: è un dialogo tra due visioni della moda parigina che hanno trasformato il corpo femminile in un terreno di ricerca plastica, dove rigore architettonico e sensualità trovano un equilibrio sottile. Il curatore Olivier Saillard porta al Museo del Tessuto di Prato, nei suggestivi spazi dell’ex fabbrica Campolmi, una mostra (visitabile fino al 3 maggio 2026) che riunisce cinquanta abiti capolavoro provenienti dalla Fondazione Azzedine Alaïa di Parigi e dai Balenciaga Archives, insieme a dodici disegni originali del maestro spagnolo realizzati tra il 1950 e il 1968. Un confronto fuori dal tempo, dove la couture si rivela come una forma d’arte autonoma, capace di raccontare la materia, il gesto e la scultura con la stessa intensità di un’opera plastica.
Due couturier, un destino condiviso
Al di là della distanza geografica e generazionale, Alaïa e Balenciaga condividono un destino sorprendentemente simile. Entrambi nascono lontano da Parigi — Balenciaga a Getaria, nei Paesi Baschi, nel 1895; Alaïa a Tunisi, nel 1935 — e muovono i primi passi tra aghi e tessuti, grazie alle rispettive famiglie. Per il primo è la madre Martina, sarta per la nobiltà spagnola; per il secondo, la sorella Hafida, da cui impara l’arte del cucito. In comune hanno la dedizione al mestiere, l’idea che la conoscenza tecnica sia la base dell’arte e la convinzione che il corpo femminile non vada decorato, ma scolpito. Il grande talento che li accomuna li conduce inevitabilmente a Parigi, città d’elezione e approdo naturale di un percorso creativo destinato a consacrarli tra i protagonisti assoluti della couture. Balenciaga, dopo una solida esperienza in Spagna, chiude i battenti dei suoi atelier a causa della Guerra Civile e, nel 1937, apre la sua prima maison nella ville lumière, in Avenue George V. In breve tempo diventa uno degli stilisti più amati dall’aristocrazia europea, celebre per l’equilibrio tra rigore costruttivo e grazia scultorea.
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Storia e carriera di Alaïa e Balenciaga
Alaïa, invece, dopo una gavetta come assistente sarto a Tunisi, si trasferisce a Parigi nel 1957, dove viene subito notato e assunto da Christian Dior. In seguito lavora al fianco di Guy Laroche e Thierry Mugler, affinando la propria visione scultorea del corpo femminile, prima di aprire il suo atelier nel cuore della bohémienne Rive Gauche. Il celebre numero 60 di Rue de Bellechasse divenne presto meta di pellegrinaggio per aristocratiche, modelle e dive di Hollywood, attratte dal suo approccio quasi anatomico alla couture. Anche nel momento della loro massima ascesa, Alaïa e Balenciaga si assomigliano nella gestione emotiva e quasi ascetica del proprio lavoro. Balenciaga, all’apice della fama, nel 1968 sceglie di ritirarsi e di chiudere la sua maison, segnando la fine di un’epoca.
Alaïa, a sua volta, dopo aver raggiunto l’apice del successo negli anni Novanta ed essere entrato a pieno titolo nell’olimpo della moda, si allontana dai riflettori per tornare a dedicarsi alla sua cerchia privata di clienti. Nei primi anni Duemila ritorna in passerella, inaugurando un secondo periodo di gloria che si conclude nel 2017 con la presentazione della sua ultima collezione di Haute Couture. Pochi mesi dopo, la sua scomparsa a Parigi, chiude simbolicamente il cerchio di una vita interamente consacrata alla purezza del gesto sartoriale.
Il vero punto di incontro
Tra le molte affinità che legano Azzedine Alaïa e Cristóbal Balenciaga, ce n’è una che più di tutte ne sintetizza la poetica e spiega la profonda consonanza del loro linguaggio: la forma come architettura del corpo. Entrambi concepiscono la moda come un esercizio di costruzione, una pratica che si sviluppa intorno al corpo e lo trasforma in scultura vivente. Per Balenciaga, la stoffa diventa materia architettonica, capace di creare volumi sospesi che proteggono e distanziano il corpo, generando spazi di aria e silenzio tra la figura e l’abito. Alaïa, al contrario, lavora per sottrazione: il suo gesto sartoriale aderisce alla pelle, la segue, la modella fino a farne un paesaggio tattile, una seconda epidermide. Diversi nei mezzi ma uniti nell’intento, i due couturier condividono un medesimo linguaggio: quello della precisione, della disciplina tecnica e di una sensualità che non è ornamento, ma costruzione. A unirli è anche un’etica rara nella storia della couture: entrambi padroneggiano ogni fase della creazione, dal disegno al taglio, dalla costruzione alla confezione, senza mai delegare ad altri la responsabilità del gesto sartoriale. È questa autonomia assoluta, quasi artigiana, a rendere la loro opera così radicale. Balenciaga rivoluziona la silhouette introducendo volumi inediti e proporzioni architettoniche; Alaïa, invece, trasforma il tessuto in una seconda muta, domando la maglia e la pelle come materiali scultorei. La loro affinità trova un’eco concreta in un episodio chiave. Nel 1968, anno in cui Balenciaga decide di chiudere la sua maison, il giovane Alaïa — allora stilista emergente a Parigi — viene invitato da Mademoiselle Renée, vicedirettrice della maison, a visionare alcune creazioni conservate negli archivi del maestro spagnolo. Di fronte a quelle opere d’arte, Alaïa rimane folgorato: ne riconosce la purezza e la precisione assoluta, e da quel momento considera Balenciaga un punto d’origine, una presenza silenziosa che accompagnerà per sempre la sua ricerca.
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Da Parigi a Prato: l’esposizione spiegata bene
Alaïa / Balenciaga. Scultori della forma nasce nel 2020 all’interno della Fondazione Azzedine Alaïa, a Parigi. Il progetto prende vita dopo un lungo lavoro di ricerca e riflessione sulle parole di Hubert de Givenchy che, dopo la scomparsa di Azzedine Alaïa (2017) e quella di Cristóbal Balenciaga (1972), aveva espresso alla Fondazione il desiderio di riunire simbolicamente i due maestri della couture, legati da una profonda affinità artistica e spirituale. In mostra venticinque creazioni di Balenciaga e altrettanti di Alaïa dialogano in un percorso scandito dal colore nero, protagonista assoluto. Per Balenciaga, esso rappresentava la quintessenza della sobrietà e dell’eleganza, un segno di forza e misura che conferiva maestosità tanto agli abiti da giorno quanto a quelli da sera. Per Alaïa, invece, era una dichiarazione di stile: una tonalità assoluta che sublimava la sensualità del corpo femminile attraverso tagli millimetrici e tessuti tecnici — pelle, jersey, maglia — talvolta accostati a colori più vivi in raffinati contrasti di luce e materia.
Lo stile di Balenciaga e Alaïa a confronto
Pur nella loro imponenza, le creazioni di Balenciaga rivelano una sorprendente praticità. Tra echi dell’arte di Goya e reminiscenze di flamenco, la sua è un’eleganza strutturata ma libera, fatta per muoversi con il corpo. I suoi abiti, dal celebre cappotto squadrato all’abito a “sacco”, incarnano un lusso essenziale, un equilibrio perfetto tra rigore e grazia. Le sue architetture di stoffa prendono forma da lane, rasi e sete, fino all’invenzione del gazar, tessuto sperimentale creato nel 1958 per dare corpo a volumi sospesi e linee senza tempo. La firma di Alaïa, per contro, si legge nella morbidezza sensuale dei suoi abiti, capaci di seguire il corpo come una seconda pelle. Tra le sue muse, donne dal fascino magnetico come Arletty, Greta Garbo e Claudine Colbert, che ne hanno sostenuto la visione artistica e contribuito a definire l’immaginario della sua couture. Ma Alaïa non è stato solo un creatore di abiti: è stato anche un grande collezionista, abile nello studio delle forme e dello stile, osservati nella loro trasformazione attraverso un secolo di moda. La sua raccolta, composta da oltre 15.000 pezzi, custodisce la memoria viva del Novecento e del XXI Secolo, restituendo la moda come archivio di cultura, tempo e bellezza, in perfetta sintonia con lo spirito della mostra. A completare il percorso espositivo – arricchito da bozzetti, documenti d’archivio, fotografie e materiali inediti – due testimonianze preziose: il film Azzedine Alaïa di Joe McKenna e un video proveniente dagli archivi Balenciaga con le collezioni Haute Couture Estate 1960 e 1968.
Più che un omaggio al passato, questa mostra è un invito a riflettere sulla resistenza della forma e sulla forza silenziosa del gesto che, ancora oggi, scolpisce il corpo stesso della moda.
Marta Melini
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