I corpi eversivi di Clemen Parrocchetti in una importante antologica a Firenze
Palazzo Medici Riccardi ospita la mostra di un’artista rivoluzionaria italiana che ha saputo precorrere i tempi, tra sperimentazione e militanza politica
La storia dell’arte è satura di corpi. Corpi splendidi e scultorei, corpi abbandonati, corpi floridi, vistosi, feriti, suturati, angosciati. Sono corpi che parlano e che raccontano, piattaforme di storie, non sempre edificanti. Anche la mostra Ironia ribelle di Clemen Parrocchetti (Milano, 1923 – 2016), curata a Palazzo Medici Riccardi a Firenze da Stefania Rispoli e Marco Scotini ne parla. Il percorso ben congegnato dai due curatori si snoda attraverso le sale spaziando tra i temi e costruendo un allestimento musicale in grado di dare vita alla complessità creativa di Parrocchetti. Mostrando, innanzitutto, che siamo di fronte ad un’artista sontuosa, capace di spaziare tra i media con uno stile unico e inconfondibile, padroneggiando con consapevolezza la grande arte del passato per creare un linguaggio totalmente nuovo, verso un corpo politico femminile che si riappropria di se stesso.

La mostra di Clemen Parrocchetti a Palazzo Medici Riccardi
A volte è disgiunto, scollegato, al tempo stesso rigoglioso, come nella serie pittorica Amore e divorazione (1969) che accoglie il visitatore introducendolo nel mondo anticonformista di Parrocchetti, fatto di bocche che mordono, vagine e seni che lasciano poco spazio alla seduzione, denti affamati, in una tavolozza ai limiti del pop.
Sovvertendo, inoltre, gli stereotipi del fare muliebre, Parrocchetti prende in mano strumenti di cura o tratti dal lavoro domestico o ancora ago, filo e spolette. Fila arazzi. Lavora con i tessuti creando le sue soft sculptures (Lamento del sesso, 1978), che anticipano le più note opere di Louise Bourgeois. La mostra, promossa dal Museo Novecento Firenze e con la direzione artistica di Sergio Risaliti, segue non a caso la programmazione dell’istituzione fiorentina che sta dando rilevanza a maestre come appunto Bourgeois, Marion Baruch, Jenny Saville e Cecily Brown tra le altre.
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Le opere di Parrocchetti a Firenze
Parrocchetti l’arte diventa qualcosa di più: è uno strumento di militanza politica (Manifesto. Promemoria per un oggetto di cultura femminile, 1973), seguendo le istanze di movimenti come quelle del gruppo Lotta Femminista di Padova o intersecando il Gruppo Immagine di Varese, soprattutto nel 1978 (Macchina delle frustrazioni o Barriere), con le note vicende che porteranno la compagine alla Biennale di Venezia. I temi, dunque, della subalternità del ruolo della donna e del salario al lavoro domestico (dove il carico è mentale, pratico e anche sessuale) e del riscatto della donna nell’alveo di una dimensione esterna all’ambito familiare, dell’emancipazione del corpo e del libero arbitrio su di esso senza condizionamenti sociali, intervengono prepotenti e con singolare lucidità nel suo lavoro.

Clemen Parrocchetti: questione ambientale e di genere
Fino alle opere dell’ultimo periodo che attestano ancora una volta la grandezza dell’artista. Sempre precorrendo i tempi Parrocchetti coglie, infatti, in largo anticipo l’aspetto intersezionale di uno sguardo che mette in comunione il corpo femminile con quello animale, ponendo sullo stesso piano questione ambientale e di genere. E via libera, dunque a blatte, pidocchi, meduse, parassiti, insetti, ma anche a cani. In un’alleanza femminista tra corpi irregolari, bestie e donne, un’unione non gerarchica contro il potere dominante maschile e la sua sete insaziabile di controllo.
Santa Nastro
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