Chi è Jacq, l’artista-influencer che ritrae i mestieri dell’arte
Il suo volto non si vede mai, né si conosce il suo vero nome. L’artista, che si divide tra pittura e mondo della comunicazione, si palesa solo a mezzo social. E sta cominciando a raccontare il settore dell’arte con un nuovo progetto…
Il suo nome non si conosce, così come il suo viso, data la necessità di restare anonimo e di tenere separata vita privata e vita d’artista. Eppure, con il suo progetto che coniuga pittura e social media, senza gallerie, attività promozionali e uno staff a suo sostegno, Jacq ha realizzato un discreto successo online. Soprattutto con I volti di Jacq, una narrazione che mette le persone al centro pur smaterializzandone i connotati per mantenerne la viva essenza.
Il progetto Personale sui mestieri dell’arte
Dall’8 luglio ha inoltre lanciato su Instagram, Personale, un progetto che, attraverso una serie di videointerviste, dà voce a generazioni di professionisti del settore dell’arte raccontandone i mestieri. Contestualmente le persone intervistate vengono ritratte a olio su tela, al fine, spiega, “di cercare l’imprescindibile legame tra la rappresentazione del soggetto e la sua storia personale. Il dipinto viene infine donato alla persona ritratta come un atto di responsabilizzazione da parte dell’artista verso il soggetto”. Quest’ultimo dovrà prendersene cura fisicamente e simbolicamente, in quanto il ritratto custodisce il suo racconto. La prima videointervista è a Letizia Bocci, project manager culturale e social media curator del Museo Galileo di Firenze, ma sono tanti i contenuti realizzati dall’artista che periodicamente saranno pubblicati sul suo canale Istagram. Abbiamo intervistato Jacq che ci ha parlato di questa e altre storie.

Intervista all’artista Jacq
Perché utilizzi questa identità fittizia palesandoti (al momento) solo a mezzo social?
Mi divido da anni tra il mondo della comunicazione e quello dell’arte. Sono un cercatore di tubetti di colori nei negozi di belle arti e uno sperimentatore di nuove composizioni cromatiche. La mia identità anonima deriva da due necessità: la prima è quella di tener separata la vita personale da quella di artista, mentre la seconda scaturisce dal dover frapporre una barriera tra me e il giudizio altrui. Dopo anni sono riuscito a comprendere il vero motivo dell’esistenza di Jacq e del perché, per me, la pittura non è mai stata una passione, ma un mezzo.
Dunque, Chi è Jacq?
Un alter ego creato dall’inconscio: è la seconda personalità che alberga in me, è la parte libera e determinata che rappresenta la mia esigenza di trovare un posto nella società e il mio bisogno di indipendenza. Ho sempre faticato a raggiungere quest’ultima e ciò è stato spesso causa di sofferenza e inadeguatezza nel compiere passi cruciali nella vita. Grazie all’espediente dell’anonimato, le persone non si relazionano con me, ma con ciò che faccio esistere: il quadro. Dunque mi sono reso conto che il mio ruolo non è esistere, ma far esistere.
Quale è la tua formazione e come sei arrivato a capire di essere un artista?
Ho una formazione accademica nel campo del marketing. Artisticamente parlando, sono autodidatta. Ciò, da un lato, è stato penalizzante perché non avevo gli strumenti conoscitivi forniti dai corsi dell’accademia di belle arti. Per esempio, nessuno mi ha insegnato i passi da compiere e i soggetti da coinvolgere nell’organizzazione di un’esposizione personale. L’ho imparato facendo esperienza sul campo e confrontandomi con i miei limiti. Dall’altro lato, avere una formazione come la mia, ti aiuta ad avere un approccio operativo più strategico. A mio parere, una delle caratteristiche fondamentali di un artista è la capacità di comunicare. Non basta essere abili esecutori, ma bisogna saper essere in grado di portare i grandi temi della vita alle persone con un linguaggio comprensibile, onesto e che sia d’ispirazione. Non ho mai creduto fino in fondo di essere un artista e forse è così: sono un tramite, un ponte tra il desiderio di essere rappresentati e l’effettiva rappresentazione.
Dal 2016 conduci il progetto Volti di Jacq: per quale motivo sei così interessato alla soggettività delle persone?
La mia attenzione alla soggettività delle persone è finalizzata a far scaturire in loro un’emozione, suscitata dalla rappresentazione dei loro legami affettivi più intimi. I protagonisti sono singoli individui o gruppi formati da membri della famiglia, fratelli, fidanzati o amici. Credo che il risultato finale delle mie opere non sia tanto la raffigurazione dei loro volti, quanto il racconto visivo della loro storia personale. Mi piace quando le persone mi scrivono spiegandomi perché vorrebbero essere ritratte da me.
I tuoi volti però non hanno una resa figurativa. I tratti caratteristici quasi scompaiono. Perché?
Mi focalizzo su alcune peculiarità fisiche delle persone ritratte, come la postura, oppure facciali, come il posizionamento delle sopracciglia, i lineamenti e i capelli. Ho trovato interessante selezionare solo i tratti caratteristici, andando a cogliere la sintesi di un volto, per dimostrare che la sottrazione di alcune parti del viso, non ne compromettono la riconoscibilità. Bruno Munari affermava che complicare è facile e semplificare è difficile. Quest’ultimo è un atto di sottrazione che presuppone il riconoscimento dell’essenza delle cose, ed è proprio in questa prospettiva che si colloca il mio lavoro.
Tu, in ogni caso resti sempre dietro le quinte…
Esatto.
Hai mai fatto una mostra di queste opere?
Amo ricordare la mia prima personale I Volti organizzata all’Ex Chiesa di San Giovanni di Prato, uno spazio culturale della mia città. Fu totalmente autoprodotta, dall’allestimento alla promozione dell’evento, con pochissimo budget, senza un curatore o un critico d’arte che mi seguisse. Durante il periodo dell’esposizione, i volti furono visitati da circa 300 persone. Il giorno dell’inaugurazione non mi presentai. I miei sentimenti furono contrastanti perché provai una grande soddisfazione per avercela fatta da solo, ma anche un forte disagio per essermi messo a nudo.
Ci sono state altre occasioni?
Ho esposto nell’ambito di Paratissima a Torino e Bologna, ad ECCO – Espacio de Cultura Contemporanea de Cadiz in Spagna e recentemente nello studio di design Sottoscalo a Milano. Negli ultimi anni ho collaborato con il Teatro Metastasio realizzando una serie di volti e con il gruppo IPER-collettivo con i cui ho realizzato l’opera Fabbricazione: una maxi-installazione site specific realizzata insieme alla comunità dei lavoratori dell’azienda Beste di Prato. L’opera poi è stata esposta anche al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino.
Ti si può ritenere una sorta di influencer. Il tuo profilo Instagram è seguito da oltre 10.000 persone. Ti aspettavi questa risonanza?
No, proprio no e se c’è stata, è perché ho messo al centro del mio progetto la gente comune. Inizialmente ritraevo soggetti della mia città, senza che loro lo sapessero e poi ne pubblicavo i ritratti sulla mia pagina Instagram. Le persone, incuriosite, hanno iniziato a seguirmi e a scommettere su chi fossero i protagonisti delle opere. Generalmente quasi tutti i volti sono stati rivendicati e il tam-tam mediatico ha reso virale la mia arte. Inoltre la questione dell’anonimato ha dato un tocco di mistero alla mia figura, rendendo tutto più intrigante. Infine ho riprodotto le mie opere su adesivi, facendo una sorta di azione di branding. Su richiesta dei miei follower, ho spedito loro per posta oltre cento lettere contenenti gli sticker e una dedica personalizzata scritta a mano. Chi mi segue, attaccandoli adesivi in vari luoghi nel mondo, è diventato ambasciatore della mia arte.

A un certo punto cominci a ragionare sulla identità professionale e umana del mondo dell’arte, allargando i Volti di Jacq al nostro settore. Come nasce questa idea?
Essendo al contempo fruitore e attore del mondo dell’arte, nasce in me la curiosità di comprendere a fondo chi siano le persone che popolano questo mondo, quali ruoli ricoprano e come le dinamiche lavorative e personali si intreccino. Da questa necessità nasce Personale. Le persone coinvolte in questo primo ciclo di interviste sono Letizia Bocci, project manager culturale; Serena Tabacchi, curatrice d’arte digitale di arte contemporanea ed esperta di nuove tecnologie; Cristiano De Silva, venditore di articoli per artisti; Caterina Gori, curatrice della Collezione d’arte ambientale Gori a Fattoria Celle e Santa Nastro, vicedirettrice di Artribune, giornalista e critica d’arte. Personale è una finestra aperta sui mestieri dell’arte e tenta di offrirne una panoramica sfaccettata e personale. Mi avvalgo della collaborazione di due giovani creativi dalla sensibilità spiccata, il videomaker Leonardo Li Puma e la fotografa e videomaker, Martina Oliva.
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I personaggi del mondo dell’arte sono affiancati da una videointervista…Come vedi l’evoluzione del progetto? Cosa vorresti che diventasse?
Per il futuro vorrei dare continuità a questa indagine artistica, realizzando altre interviste. Per questo motivo sono già alla ricerca di finanziamenti. La mia ambizione è che Personale possa evolversi in un format più strutturato, magari televisivo o documentaristico, in grado di raggiungere un pubblico ampio.
Santa Nastro
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