La vita nell’arte della gallerista Hélène de Franchis. I ricordi di Daniele Capra
Dopo oltre cinquant’anni di attività nel mondo dell’arte, in cui ha contribuito alla diffusione in Italia di innovative tendenze artistiche, con un impegno riconosciuto anche dal premio alla carriera di Art Basel, è venuta a mancare la celebre fondatrice di Studio La Città a Verona

Conobbi Hélène de Franchis oltre vent’anni fa, quando muovevo i miei primi passi nel campo dell’arte contemporanea e la sede di Studio La Città era nel centro storico di Verona. Ricordo distintamente la prima mostra che vidi in quello spazio, la personale di Lawrence Carroll, che lei stessa mi raccontò nei minimi dettagli. Fui affascinato dall’artista, che all’epoca conoscevo per sommi capi, e ancora di più dalla sua narrazione puntuale e dettagliata, in linea con quella che scoprii successivamente essere la sua indole.
Le gallerie nei primi anni Duemila: espressione di una visione del mondo
Nei primi Anni Duemila le gallerie avevano un profilo preciso e un’identità ben definita, poiché rappresentavano non tanto un gusto, ma un vero e proprio modo di vedere il mondo. C’era cioè un legame in qualche modo “ideologico” tra le opere esposte e la natura stessa dei fondatori, poiché l’attività della galleria era l’esito commerciale di un processo di partecipazione intellettuale e generazionale. Le matrici di Studio La Città erano quelle del Minimalismo e dell’Arte Concettuale, con una particolare attenzione rivolta alle ricerche di natura formale. E tutto questo si respirava a pieni polmoni.
La passione per l’Italia di Hélène de Franchis
Negli anni successivi le relazioni con de Franchis si sono intensificate e mi hanno portato a realizzare insieme più di un progetto. Mi riceveva nel suo studio al primo piano della galleria (la nuova sede oltre l’Adige era stata inaugurata nel 2007) e spesso qualche opera lì presente o la stretta attualità portavano la conversazione a episodi accaduti nel passato, ad artisti, critici e gallerie che spesso erano ormai sui libri di storia. Così appresi della sua giovinezza trascorsa lontano dall’Italia e del suo desiderio, dopo aver studiato storia dell’arte a Roma, di occuparsi di quello che succedeva in quel preciso momento. La scena artistica della Capitale era di una forza travolgente e il nostro Paese stava vivendo, tra mille contraddizioni, una fase di sviluppo economico e fermento intellettuale senza pari. Nacque in quel periodo l’idea di aprire una galleria a Verona (nel 1969), una città non certo aperta e à la page come la Capitale, ma che stava vivendo una crescita industriale notevole.

Il rapporto di Hélène de Franchis con i collezionisti
In un’epoca come gli Anni Settanta, in cui i viaggi non erano frequenti e le notizie nel campo dell’arte erano scarse, mi raccontò spesso del continuo desiderio di conoscere cosa animava i collezionisti. Quando ritornava da New York, con la valigia carica di disegni e piccole opere comprate da giovani artisti, era attesa da un gruppetto di persone che volevano vedere o comprare le ultime novità, senza troppe domande. La curiosità e il piacere intellettuale guidavano i collezionisti, senza elucubrazioni o ripensamenti. In quel periodo poteva capitare di accompagnare un abbiente collezionista a una mostra in Ferrari e rientrare in treno, con il quadro sotto il braccio, poiché il desiderio di possedere l’opera (una tela di Yves Klein) era così forte e pressante da spingere il collezionista a lasciare in pegno la propria auto nuova di zecca.
Il contributo di Hélène de Franchis all’Italia
In oltre cinquantacinque anni di attività Hélène de Franchis ha contribuito a diffondere nel nostro Paese le pratiche concettuali, minimaliste e la Pittura Analitica, facendo conoscere artisti come Sol LeWitt, Lucio Fontana, Richard Tuttle, Ettore Spalletti, Alberto Garutti, Giorgio Griffa, Claudio Verna, Herbert Hamak, Giulio Paolini, Pier Paolo Calzolari, Lawrence Carroll, Jacob Hashimoto, David Simpson, Gabriele Basilico. Dotata di modi signorili, di un’insaziabile curiosità e di una personalità volitiva, de Franchis ha vissuto il mondo dell’arte con una grande attenzione alle relazioni personali, con libertà, ma anche con un pizzico di follia, senza per questo ignorare l’importanza del mercato. Rimasi colpito quando espresse il desiderio di non prendere più parte alle fiere, dopo numerose presenze a Colonia, Art Basel e anche alla nostra ArteFiera. “Non mi diverto più. Le fiere sono diventate solo calcolo e affari”, ammise candidamente, “e i progetti con gli artisti si possono fare con molto più piacere altrove”. Ci mancherà. E ci dispiace che negli ultimi anni abbia sempre declinato con ritrosia l’offerta, venuta da più parti, di fare un libro sul suo incredibile percorso di gallerista.
Daniele Capra
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