La carriera senza rimpianti della grande gallerista Hélène de Franchis. Il ricordo di Alberto Fiz
Hélène de Franchis, fondatrice della galleria Studio La Città, è scomparsa a 82 anni senza rimpianti. Dal 1969 ha sempre percorso il mondo dell'arte andando controcorrente
Je ne regrette rien. Così nel 2004 aveva intitolato la mostra per festeggiare i trentacinque anni della sua galleria. Ora di anni ne sono passati altri ventuno e quel verso di Edith Piaf non ha perso d’attualità. Hélène de Franchis è scomparsa troppo rapidamente, a 82 anni, senza rimpianti. Certo, Verona, la sua città d’elezione non sempre ha ricambiato la sua dedizione, le amarezze non sono mancate e qualcuno dei suoi pupilli l’ha delusa.
Chi era Hélène de Franchis
Eppure, questa straordinaria signora dell’arte, di discendenza napoletana, nata casualmente a Tangeri nel 1943 e sbarcata a Verona altrettanto casualmente nel 1969 dopo aver lasciato l’Inghilterra, è sempre stata coerente solo a sé stessa e non ha mai ceduto alle lusinghe del mercato o alle sirene delle mode. Un percorso solitario, tenace e appassionato, in nessun modo omologabile, che l’ha resa diversa da tutti, forse per il fatto di sentirsi sempre un po’ straniera (conosceva alla perfezione inglese, francese e spagnolo), di sangue cosmopolita (il papà era un diplomatico), con quella erre pizzicata che ogni tanto s’incuneava nel suo parlare sciolto facendo percepire all’interlocutore che lei proveniva da una realtà altra. E poi i suoi modi sofisticati e talvolta persino bruschi, la sua eleganza innata, l’intelligenza sopraffina e quell’ironia sottile e pungente, simbolo della sua assoluta libertà verso le cose e le persone.

I cinquant’anni di Studio La Città
Quando nel 2019 ha festeggiato i cinquant’anni della galleria, ha evitato retorica e melassa intitolando la mostra curata da Marco Meneguzzo, Quello che non ho venduto. Sferzante, non priva di narcisismo, era la prima a mettere in discussione anche il suo operato. Lei per tutta la vita ha cercato il respiro nascosto delle cose (il riferimento è a un’altra mostra del 2001) seguendo idealmente gli insegnamenti di Lucio Fontana, il suo Virgilio. Spesso ricordava come fossero state proprio le opere del maestro spazialista a convincerla che la strada giusta fosse quella della gallerista. La sua vera capacità è stata quella d’inseguire con coerenza il filo di un pensiero dove l’arte non è esibita ma appare intima, inafferrabile, persino sfuggente. Tutto questo evitando di seguire il codazzo o movimenti integralisti. Quando nel 1969 ha aperto la prima galleria in Vicolo Samaritana con la complicità di Carla Panicale, mitica direttrice della Marlborough di Roma, ha presentato Luigi Spazzapan e Toti Scialoja. E subito dopo Gianni Colombo, Mario Schifano (quest’ultimo è una presenza fissa che compare anche nella mostra attuale con gli acetati degli anni Settanta) e Piero Dorazio per poi addentrarsi in strade non battute come la collettiva dedicata nel 1972 agli artisti inglesi inediti in Italia quali Howard Hodgkin e Michale Challanger o l’anno dopo agli americani dove compare anche Lucio Pozzi.
Gli esordi di Hélène de Franchis
Sin dagli esordi, emerge con chiarezza la linea intrapresa da Hélène che non corre dietro all’Arte Povera (negli anni successivi svilupperà un rapporto intenso con Pier Paolo Calzolari oltre a un’amicizia con Giulio Paolini) ma in compenso propone nel 1973 una delle prima mostre dedicate alla pittura analitica curata di Maurizio Fagiolo dell’Arco Io non rappresento nulla, io dipingo che riprende una formula di Giorgio Griffa presente nell’esposizione insieme a Rodolfo Aricò, Carlo Battaglia e Claudio Verna. Successivamente, schiva la transavanguardia e tutto il neoespressionismo europeo per continuare la sua indagine sulla pittura minimalista; non a caso diventa un punto di riferimento per Giuseppe Panza di Biumo e la sua famiglia presentando artisti come Lawrence Carroll, Stuart Arends e David Simpson (nel 2001 la collezione Panza verrà ospitata alla Gran Guardia di Verona appena restaurata). Ma tra i suoi collezionisti ci sono anche Anna e Giorgio Fasol, oltre al tedesco Peter Schaufler (la sua fondazione è a Stoccarda) che faceva i suoi acquisti anche senza vedere le opere fidandosi esclusivamente del fiuto di Hélène. Sono poi molti gli artisti che a lei devono la loro affermazione e tra questi basterebbe citare Herbert Hamak, Jacob Hashimoto, Hiroyuki Masuyama, Vincenzo Castella, Luigi Carboni o Arthur Duff. Proprio quest’ultimo è il curatore, insieme a Luca Massimo Barbero, della sua ultima mostra Wind is in no rush con la partecipazione di un gruppo di giovani quali Federico Borroni, Filippo Rizzonelli, Runo B e Diego Soldà, oltre allo stesso Duff.
Gli Anni Settanta e le fiere d’arte
Hélène non ha mai avuto il tempo né la voglia di fermarsi, sempre pronta ad accogliere il vento del cambiamento. Negli Anni Settanta è stata tra le prime in Italia a comprendere la potenzialità delle fiere e già nel 1974 era presente alla fiera di Düsseldorf per poi approdare l’anno dopo a Art Basel dove ha esposto ininterrottamente sino al 2011 (il suo stand era di fronte a quello di Lucio Amelio). Nel frattempo, ha preso parte come unica gallerista italiana a un’infinità di manifestazioni in tutta Europa, da Amsterdam a Stoccolma, dove approdava con il proprio furgoncino. Proprio in Svezia decise di rendere esplicita la propria italianità e per farlo scelse di acquistare una Moka per offrire il caffè a chi visitava il suo stand. Fu un successo clamoroso e al termine della manifestazione vendette anche la Moka. Ma Hélène non si è mai adeguata al conformismo imperante, ha saputo andare controcorrente svincolandosi dalle strade troppo battute. Così, nel 2012 poco prima che le fiere diventassero sinonimo di business e speculazione, le ha abbandonate. Non però ArtVerona dove ha sempre organizzato mostre fuori taglia, ben superiori al livello della manifestazione, come se ogni volta fosse un modo per onorare la sua città in una sfida infinita. Nell’ultima edizione, la diciannovesima, ha esposto 19 artisti della sua scuderia, da Emil Lukas a Davide Maria Coltro, passando per Lucio Fontana e Alberto Garutti e Anna Galtarossa. Qualche volta poi, per convincerla a partecipare, gli organizzatori sceglievano di farle un omaggio e lei, dopo aver nicchiato un po’, da prima donna si concedeva.
La galleria e la nuova sede
Senza mai tirare il fiato ha sempre cavalcato il cambiamento. Amava le sfide e forse per questo guidava auto da corsa. Quando nel 2007 ha spostato la galleria nella sua sede attuale in Lungadige Galtarossa abbandonando il centro di Verona per scegliere uno spazio industriale, sapeva che stava compiendo un azzardo. Ma anche allora ha vinto la scommessa e quello spazio con una programmazione intensa, in grado addirittura di ospitare tre mostre per volta, è diventato occasione di happening, talk e indimenticabili inaugurazioni previste il sabato alle 11 con tanto di catering per tutti i partecipanti. E se questo non bastasse, dopo il covid ha creato un’attività di shop online e ha organizzato un’asta annuale proponendo disegni, grafiche e oggetti a prezzi popolari. Je ne regrette rien, continuerebbe a dire Hélène con il suo sguardo sornione e sorridente. Naturalmente senza rinunciare alla erre, vibrante e inconfondibile.
Alberto Fiz
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati