Il ritorno dell’industrial art in una personale a Roma. La mostra di Fabrizio Prevedello

La galleria Z2o presenta la mostra di un’artista che lavora con elementi urbani pesanti seguendo una linea artistica nordica e post-vandalica

Sintesi di scale non più funzionali e oggetti d’arte a temperatura zero nel loro voluto assemblage di materiali industriali quali cemento, acciaio nudo o zincato, vetro. Si tratta della personale Distanza dell’artista Fabrizio Prevedello (Padova, 1972) inaugurata alla Z2o di Sara Zanin. Dieci opere installative ruotano intorno ai temi del passaggio, della sosta e della transitorietà, del residuo e del riuso, seguendo il fil rouge dell’“impermanenza” nelle parole del curatore Gabriele Tosi.

La mostra da Prevedello da Sara Zanin

Effigi dalle parvenze anarchitettoniche che evocano tendenze e atmosfere respirate anche – nell’orizzonte artistico romano – in alcune recenti esposizioni. Alle personali Transeunte (2024), con le evocative impalcature e le tele screziate di Renato Calaj, Petrolio (2024) con i quadri cementizi di Jonathan Vivacqua. Nonché alla collettiva Displacement (2022), animata da installazioni di giovani e giovanissimi artisti italiani e nord-europei che ragionavano – come nel caso di Prevedello, vissuto a lungo a Berlino – sull’utilizzo di materie urbane per un loro post-vandalico e post-minimalista ricollocamento estetico. Tutte esposizioni, queste, presentate sotto la spesso profetica supervisione del gallerista Giacomo Guidi. Che ha perfino anticipato, in qualche modo, il groviglio iper-geometrico dei tubi innocenti di Bartolini al Padiglione Italia nell’ultima Biennale di Venezia.

Fabrizio Prevedello, Ascesa e caduta (364 C), 2014-2025, galvanised steel, painted color
, cm 220x120x80, Ph Dario Lasagni
Fabrizio Prevedello, Ascesa e caduta (364 C), 2014-2025, galvanised steel, painted color, cm 220x120x80, Ph Dario Lasagni 

Chi è Fabrizio Prevedello

Prevedello, insinua in quest’humus, nella resa di lande montuose impossibili, alcuni frammenti di pregio. Schegge in marmo rosa del Portogallo, nero del Belgio, verde guatemalteco o alpino si celano sotto colature in gesso trattate con la stessa tecnica di livellamento dei pavimenti. La prospettiva cui guardare i suoi lavori si fa irregolare e incrinata allo sguardo. Distante, come il titolo suggerisce, dal calore umano che pure li ha generati.

Tornano, qui, le mitigazioni e il ripiegamento intimistico di un furor di taglio neo-brutalista, sotto il segno della concezione hegeliana di creatività come rottura della regola.

Francesca de Paolis

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Francesca de Paolis

Francesca de Paolis

Francesca de Paolis si è laureata in Filologia Moderna con indirizzo artistico all'Università La Sapienza di Roma proseguendo con un Corso di Formazione Avanzata sulla Curatela Museale e l'Organizzazione di Eventi presso l'Istituto Europeo di Design (IED). Ha insegnato Storia…

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