Tutto il meglio della fotografia tedesca in una super mostra alla Fondazione Prada di Milano
C'è il mondo nella mostra Typologien che, dietro un'apparente freddezza, sprigiona una calda umanità, lungo un percorso in cui oltre seicento scatti di venticinque fotografi tedeschi offrono una visione caleidoscopica e sfaccettata della realtà
Installation view “Typologien: Photography in 20th-century Germany”, Curata da Susanne Pfeffer
Foto: Roberto Marossi, Courtesy Fondazione Prada
Andreas Gursky, Candida Höfer, Wolfgang Tillmans, Sigmar Polke, Gerhard Richter insieme in una mostra che apre nuovi scenari e orizzonti mentali sulla fotografia tedesca dello scorso secolo. E questi sono solo alcuni dei venticinque fotografi che fanno Typologien: Photography in 20th-century Germany esposizione di ampio respiro alla Fondazione Prada di Milano che, a dispetto del titolo, più che categorizzare, propone inedite possibilità.
Il riferimento al criterio della “tipologia” per far emergere le singolarità
Per quanto il riferimento alla “tipologia”, principio ideato tra il XVII e il XVIII secolo in botanica per classificare e studiare le piante sia esplicito, percorrendo la mostra risulta evidente che l’esperta curatrice Susanne Pfeffer, storica dell’arte e direttrice del Museum MMK Für Moderne Kunst di Francoforte, nel momento in cui lo chiama in causa, lo nega. Le oltre 600 opere, infatti, non sono accostate secondo un rigido criterio scientifico, basato sulla comparazione oggettiva della realtà né, tantomeno, cronologico, ma disegnano un percorso espositivo dal sapore armonico e musicale.
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Il fil rouge che lega i venticinque artisti in mostra è la volontà condivisa di utilizzare la fotografia come un mezzo per classificare la realtà secondo dei criteri sistematici o seriali. Parametri che ciascuno individua liberamente, permettendo di scoprire, proprio nell’accostamento, le differenze che, come afferma Pfeffer: “attestano la ricchezza della natura e dell’immaginazione umana. Il principio formale proposto”, continua la curatrice, “permette paradossalmente di stabilire analogie inaspettate tra artisti tedeschi di diverse generazioni e, al contempo, rivelare i singoli approcci alla fotografia”. Del resto, l’uso delle “tipologie”, per quanto problematico e complesso è un portato dell’atavico bisogno dell’essere umano di comprendere la ragioni profonde della realtà, in cui rientrano anche la filosofia, l’arte, la religione. In quest’ottica il medium fotografico può rappresentare ancora uno strumento di razionalizzazione del reale ma solo tenendo presente che il panorama sociale, fisico e antropologico che si profila oggi davanti all’obiettivo è sempre più sfumato; costituito da contraddizioni che, da una parte esacerbano le differenze, declinando il concetto di tipologia nell’accezione più violenta e fredda del termine; dall’altra, le annullano all’insegna di una rivendicata fluidità che, nonostante le buone intenzioni, rischia di generare solo confusione e appiattimento. “Tuttavia”, ha osservato Pfeffer “l’ipotesi che la fotografia svolga un ruolo fondamentale nel definire fenomeni specifici, oltre che nell’organizzare e classificare una pluralità di manifestazioni visibili, rimane una forza vitale nelle ricerche artistiche attuali che interpretano la complessità delle nostre realtà sociali e culturali”.
L’armoniosa complessità della mostra Typologien alla Fondazione Prada
Una complessità restituita in mostra da un corpus di immagini che, coprendo un arco temporale lungo quasi un secolo: dal 1906 al Duemila, sono accostate non secondo parametri rigidi, legati a soggetti, temi o generi ma, piuttosto, secondo un criterio tipologico che richiama delle assonanze poetiche o musicali. E il percorso, abolendo ogni gerarchia, si articola lungo i due piani del Podium, lo spazio centrale della Fondazione milanese, in maniera emozionante e sinuosa; alternando scatti molto diversi tra loro per formato, tecnica, colore sospese su pannelli che disegnano un morbido labirinto.
Typologien, un percorso espositivo calibrato e musicale
Così, dopo le prime immagini di Karl Blossfeldt (1865 – 1932), Lotte Jacobi (1896 -1990) e Thomas Struth (1954), un’opera della serie Senza Titolo di Andreas Gursky (1955), come un lampo di luce e colore, movimenta l’allestimento, per condurre i visitatori verso un nuovo paradigma visivo popolato da altri maestri della fotografia, tra cui Bernd Becher (1931-2007) e Hilla Becher (1934-2015), Sigmar Polke (1941 -2010), Candida Höfer (1944), in un percorso che, senza soluzione di continuità, vive di calibrati cambi di scenario che offrono una caleidoscopica e sfaccettata visione della realtà. Forse, il secondo piano, rispetto al primo, risulta più didascalico, aprendosi con diverse serie di August Sander (1876-1964) che, attraverso il suo lavoro, cercò di delineare un ritratto della società tedesca proprio sulla base di una serie di categorie. “Tipologie che” come ha osservato la curatrice, al di là della loro apparente freddezza, “ci permettono di individuare innegabili somiglianze e sottili differenze”. Dal momento che, ha concluso: “Quando il presente sembra aver abbandonato il futuro, bisogna osservare il passato con maggiore attenzione. Quando tutto sembra gridare e diventare sempre più brutale, è fondamentale prendersi una pausa e usare il silenzio per vedere e pensare con maggiore chiarezza. Quando le differenze non sono più percepite come qualcosa di altro, ma vengono trasformate in elementi di divisione, è necessario riconoscere ciò che abbiamo in comune”.
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Ludovica Palmieri
Ludovica Palmieri è nata a Napoli. Vive e lavora a Roma, dove ha conseguito il diploma di laurea magistrale con lode in Storia dell’Arte con un tesi sulla fortuna critica di Correggio nel Settecento presso la terza università. Subito dopo…