Cosa studieranno gli archeologi del futuro? Parliamo di Metamodernismo

Potremmo definire “il paradosso dell’archeologo” ciò che accade quando una classe dirigente culturale si accosta al passato per poter dare un senso maggiore al presente. Il problema è che nel processo si resta imbalsamati. Ecco perché

Il panorama culturale romano è abitato da due tendenze, opposte tra loro, che spingono il sistema contemporaneo all’immobilismo. Da una parte il modernismo delle grandi narrazioni classiche,  che si perpetua nelle mostre istituzionali : da Fidia ai Farnese passando per la Dacia e arrivando a Tolkien, dall’altra parte una cultura contemporanea di frontiera che si rifà ai modelli anglosassoni post-moderni in cui vengono presentati artisti che spesso appartengono a piccoli mondi marginalizzati e autoriferiti , che fanno leva su metodi che puntano sull’ironia, sulla dissacrazione e sulla decostruzione delle grandi narrazioni culturali. Artisti che rifuggono scientemente dal confronto con la grande storia e che mostrano angoli in ombra e memorie dimenticate della cultura ufficiale.
Queste due facce di una stessa tematica mostrano un problema: le grandi istituzioni non accolgono le micronarrazioni postmoderne in quanto irrilevanti in termini di pubblico, e allo stesso tempo non riescono però a parlare un linguaggio contemporaneo poiché si rifugiano in narrazioni comode e rassicuranti prive di rischio culturale.

Ricostruzione piazza ninfeo
Ricostruzione piazza ninfeo

Il paradosso dell’archeologo

Questo meccanismo si inceppa ancora di più quando si tratta di immaginare un futuro per l’archeologia, massimo luogo di comfort dell’establishment culturale italiano.
Potremmo definire “il paradosso dell’archeologo” ciò che accade quando una classe dirigente culturale si accosta al passato per poter dare un senso maggiore al presente e nel processo rimane imbalsamato nell’antichità non riuscendo a dialogare con il passato attraverso il linguaggio della contemporaneità, immobilizzando i luoghi della cultura in nome della conservazione e della tutela, bloccando anche la crescita delle nostre vite quotidiane in un reticolo di norme, cavilli e pareri. La mostra agli Horti Farnesiani nel parco del Palatino fa emergere una consapevolezza spiazzante mostrando come il coraggio dei Farnese abbia permesso alla nobile famiglia di imporre la propria visione di contemporaneità cinquecentesca in un contesto archeologico: oggi noi celebriamo le loro gesta con mostre che esaltano la loro visione coraggiosa e lungimirante.
Se lo hanno fatto i Farnese nel Cinquecento perché gli abitanti di Roma del XXI Secolo non hanno il coraggio di fare altrettanto? impauriti dall’ossessione per la conservazione e la tutela diventa forse impossibile lasciare un segno nel presente?

Il problema del passato in Italia

Il problema non è solamente rintracciabile nel lavoro onesto degli archeologi ma anche nella proposta culturale contemporanea, che sembra rivelarsi in questo Paese incapace di reggere il confronto con le sontuose narrazioni del passato.
Supportati da una cultura contemporanea postmoderna, che incita il presente a non costruire e a non lasciare tracce (perché sopraffatti delle tracce che già esistono) gli archeologi sono diventati le vestali di un tempio, dove però non si svolge più nessun rito, se non quello del turismo di massa. Forse quello di cui abbiamo bisogno non è una cultura post-moderna che decostruisce e abbatte con ironia le vecchie categorie, ma metamoderna, capace di superare il pessimismo e la distruzione delle metanarrazioni perpetuata dal mondo nichilista postmoderno. Se veramente si vuole fare tesoro della cultura contemporanea, e della sua capacità di critica e di destrutturazione della realtà bisogna superare il post-modernismo, andare oltre la critica e identificare un nuovo orizzonte dal quale far nascere una realtà dimensionalmente diversa da quella che l’ha preceduta. In ultima istanza le persone vogliono dare un senso alla propria vita: se oggi non esistono più grandi ideologie universali ciò che spesso rimane è il piacere, l’ozio, l’idolatria o la depressione. Il postmodernismo è per sua natura antagonista (contro il patriarcato, contro le strutture di genere, contro la supremazia bianca…) e necessita del suo opposto per esistere: chi ha il coraggio oggi di proporre un sistema di pensiero che non sia oppositivo ma che emerga dal terreno culturale come “vita nova”?

Roma, Museo Ninfeo. Foto Fabio Caricchia
Roma, Museo Ninfeo. Foto Fabio Caricchia

Che cos’è il Metamodernismo

Non dobbiamo dimenticarci di ricostruire una volta che abbiamo distrutto. Dovremmo imparare dalla biologia, che ci insegna che il senso emerge quando esistono delle sovrastrutture che tengono insieme le varie parti che costituiscono un organismo. Frammentare le superstrutture in micro-identità significa separare cuore, polmone e fegato e cercare un senso nel loro funzionamento singolo. Dovremmo ricercarlo invece nella loro coordinazione che produce una coscienza viva. Il postmodernismo ci ha liberato della scorza dura costruita per secoli sopra le nostre singole essenze individuali, con strati di narrazioni identitarie collettive, ruoli sociali e ideologie che ci hanno permesso di sopravvivere nel mondo-giungla, ma allo stesso tempo ci hanno impedito di entrare in contatto con la nostra intimità e unicità. Metamodernismo significa applicare strumenti post-moderni per decostruire e poi far emergere da dallo spazio creato un nuovo significato intimo e personale, che possa risplendere a livello collettivo per ispirare gli altri e allo stesso tempo che abbia la forza di confrontarsi con la Storia con la esse maiuscola.

Marco Bassan

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Marco Bassan

Marco Bassan

Curatore d’arte contemporanea, fondatore di Spazio Taverna. Ha curato progetti per istituzioni quali il MAECI, Fondazione CDP, CONAI, i Musei Capitolini, il Museo Nazionale Romano, il Parco Archeologico dell’Appia. Nel 2023 ha consegnato la tesi di dottorato presso Roma Tre…

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