Una ricerca sulla mediazione culturale nei musei per i DSA

Per abbattere davvero le disuguaglianze, l’arte contemporanea deve migliorare la comunicazione per chi ha disturbi specifici dell’apprendimento. Alla Galleria Nazionale di Roma una ricerca studia il fenomeno

Oggi conviviamo con ritmi di vita molto veloci, in contesti sociali in cui ogni individuo si sente in dovere di accelerare i propri tempi per raggiungere determinati obiettivi. Questa quotidianità frenetica si ripercuote in maniera negativa soprattutto in bambini o adulti con DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento). La sociologia della salute ci porta a riflettere nel considerare i DSA come un problema non più esclusivamente individuale, ma strettamente connesso al contesto sociale. 

Cosa sono i DSA

Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) sono disturbi del neurosviluppo che appaiano con l’inizio della scolarizzazione e riguardano la dislessia (capacità di lettura), la disortografia (disfunzione nell’applicazione delle regole ortografiche nella scrittura) e disgrafia (disordine/errori nella scrittura) e la discalculia (svolgere i conti matematici in modo non corretto). Essi influiscono sulle modalità di apprendimento, ma non compromettono l’intelligenza della persona. Si tratta di una caratteristica innata, non temporanea, che accompagna l’individuo per tutta la vita, anche se può modificarsi durante gli anni di crescita. In conclusione; non c’è una “guarigione”, ma le difficoltà possono essere compensate con eventuali attività di potenziamento e/o riabilitative. 

Le barriere comunicative dei musei verso i DSA

Un elemento essenziale nei confronti delle persone con DSA è la comunicazione. Elemento, questo, che in molti contesti culturali è ancora carente. Lo si osserva in particolare con l’arte contemporanea, i cui linguaggi sono più difficili da comunicare e richiedono più accuratezza e attenzione nei confronti del visitatore. Entrando in un museo di questo tipo, un visitatore con disturbi di DSA si stancherà dopo pochi minuti; non riuscendo ad “andare oltre” all’apparenza, e non avendo a disposizione nessun tipo di strumento rivolto alle sue specificità.
Il rischio è di uscire dal museo non solo senza aver appreso alcuna nozione, ma anche con un forte senso di disorientamento e inadeguatezza.

Lo studio: DSA e comunicazione museale

Viste le difficoltà reali illustrate – che io stessa, soggetta a DSA, ho sperimentato – ho deciso di incentrare la mia ricerca di tesi sull’argomento “DSA e comunicazione museale”. Ricerca ancora aperta, e strutturata attraverso la partecipazione di volontari DSA, ai quali offro la possibilità di visitare il museo – la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea – guidati da me, con l’ausilio di vari strumenti (mappe concettuali, audio guide e testi). In una parola: attraverso una mediazione culturale pensata ad hoc per i disturbi di questo genere. A seguito dell’esperienza, ai partecipanti sono sottoposti dei test, con lo scopo di tracciare una visione ampia su come il museo dovrebbe cambiare per essere veramente inclusivo. 

Progetto di comunicazione museale alla GNAM, Roma. Photo Giuseppe Follacchio
Progetto di comunicazione museale alla GNAM, Roma. Photo Giuseppe Follacchio

La mediazione culturale per i DSA nei musei

Nel museo, il mediatore indirizza il visitatore per vivere al meglio l’esperienza di fruizione di un’opera d’arte all’interno della galleria/museo, non limitandosi a narrare la storia o il significato di un’opera d’arte moderna o contemporanea, ma dialogando con i visitatori e partecipando attivamente alla vita del museo. Questo avviene non solo dal punto di vista dell’esperto ma anche – e soprattutto – con la prospettiva del pubblico, condividendo le proprie opinioni, pensieri e percezioni. 
Non c’è un tempo stabilito: il visitatore sceglie la durata della visita, e il mediatore si adatta alle sue esigenze. 
Lo scopo finale è anche quello di sensibilizzare il pubblico sull’importanza della didattica e della trasmissione del sapere, incentivando la nuova generazione ad “andare oltre” i libri e i banchi della scuola, cercando di far scaturire in loro la curiosità del sapere.  

Agnese Rapisarda

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