A Catania tre mostre per riflettere sul ruolo dei musei e della tutela

Le opere conservate nei depositi dei musei sono sempre più sotto i riflettori, al pari del tema della tutela del patrimonio culturale. Due mostre allestite a Catania e una in arrivo tengono alta l’attenzione sull’argomento

Tre mostre in corso nei musei cittadini di Catania vedono al centro opere provenienti dai depositi del Museo civico del capoluogo etneo, da altri musei siciliani o da chiese per la maggior parte inaccessibili a un pubblico di non specialisti.
In doppia veste di funzionaria della sovraintendenza e/o curatrice compare sempre Roberta Carchiolo, interlocutrice ideale per una riflessione riguardante tanto il ruolo degli depositi che la definizione di museo, temi molto dibattuti di recente anche su queste pagine.

Agata. Dall’icona cristiana al mito contemporaneo. Palazzo dell’Università, Catania 2022

Agata. Dall’icona cristiana al mito contemporaneo. Palazzo dell’Università, Catania 2022

LA MOSTRA SU SANT’AGATA AL PALAZZO DELL’UNIVERSITÀ

Ma andiamo con ordine. Agata. Dall’icona cristiana al mito contemporaneo è allestita al Palazzo dell’Università nella centralissima via Etnea. Stando ai curatori, la celebrazione annuale della Santa (comparabile solo alle più straordinarie manifestazioni di devozione sudamericane) è anche un rito di appartenenza: chi ha avuto modo di assistervi non può che pensare alle teorizzazioni del Claude Lévi-Strauss di Mito e significato. All’ingresso dell’esposizione al Palazzo dell’Università, compare un’icona bizantina del XIV secolo proveniente dai depositi del Museo civico del Castello Ursino. Nelle sale seguenti si allineano poi dipinti, reperti lapidei e ceramiche provenienti da musei siciliani come Palazzo Abatellis a Palermo, Palazzo Bellomo a Siracusa, il Museo Pepoli di Trapani, quello Interdisciplinare di Messina e quello della Ceramica di Caltagirone. Poco più in là anche una ristretta selezione di lavori contemporanei. L’intento dichiarato è quello di far conoscere un’immagine meno nota e stereotipata della Santa protettrice di Catania. A partire appunto dalla prima raffigurazione bizantina, messa a confronto con quelle recenti.

Gaetano Gambino, Gisant, 2019, dalla serie Mirabili resti. Photo © Gaetano Gambino

Gaetano Gambino, Gisant, 2019, dalla serie Mirabili resti. Photo © Gaetano Gambino

LA FOTOGRAFIA DI GAETANO GAMBINO AL MUSEO CIVICO DI CASTELLO URSINO

Direttamente all’interno dei depositi del Museo Civico di Castello Ursino ha invece lavorato il fotografo Gaetano Gambino, ora in mostra con Mirabili resti. Il tempo, l’attesa, la luce, l’ombra. L’esposizione è nata grazie alla testarda volontà dell’autore e all’incoraggiamento ricevuto da Carchiolo per portare a termine il progetto nato nel 2019. In Mirabili resti Gambino dà vita al patrimonio “dimenticato” in quel deposito: i suoi soggetti sono eroi, dee, santi, guerrieri e bambini, a volte angeli a volte demoni: un esercito di personaggi che nelle sue fotografie abbandonano la loro funzione originaria assumendone una indipendente, anche rispetto alle intenzioni dei loro ignoti creatori.

Sofonisba Anguissola, Madonna dell’Itria, 1578 79, olio su tavola, 239,5x170 cm. Paternò, Parrocchia di Santa Maria dell’Alto, Chiesa dell’ex monastero della Santissima Annunziata

Sofonisba Anguissola, Madonna dell’Itria, 1578-79, olio su tavola, 239,5×170 cm. Paternò, Parrocchia di Santa Maria dell’Alto, Chiesa dell’ex monastero della Santissima Annunziata

SOFONONISBA ANGUISSOLA AL MUSEO DIOCESANO

Al Museo Diocesano è invece in preparazione la mostra Sofonisba Anguissola e la Madonna dell’Itria. Il culto dell’Hodighitria in Sicilia dal Medioevo all’Età Moderna. Il progetto prende avvio da un dipinto della pittrice cremonese Sofonisba Anguissola risalente al suo primo periodo di residenza nell’isola nel XVI secolo. All’opera proveniente dalla chiesa della SS. Annunziata di Paternò, ma precedentemente restaurata, sono affiancati dipinti e sculture realizzati da artisti di periodi e provenienze differenti: raccontano l’evoluzione dell’iconografia della Madonna Odigitria/Itria, oggi poco nota sebbene patrona della Sicilia. L’accostamento di queste opere esemplifica la koinè che si crea quando culture lontane si incontrano in una terra di innesti come la Sicilia. A questa esposizione ha collaborato anche il Museo civico Ala Ponzone di Cremona.

INTERVISTA A ROBERTA CARCHIOLO

Il compito tradizionale delle soprintendenze è la tutela del patrimonio. Poi c’è la sua valorizzazione, ma questa è sempre in secondo piano. È corretto?
Non esattamente. Le soprintendenze hanno sia la competenza della tutela che quella della valorizzazione del patrimonio culturale in osservanza. Si tratta di compiti molto estesi che vengono esercitati su territori ampi. Trattandosi di luoghi di cultura che afferiscono allo Stato o alle Regioni (parchi, gallerie, musei) gestiti da altri uffici periferici, le soprintendenze lavorano solitamente su siti gestiti da soggetti “altri” (pubblici o privati), attraverso una collaborazione che, seppur più complessa rispetto alla gestione di un sito proprio, risulta stimolante perché si apre verso altre realtà.

Tra i compiti di un museo quanto è rilevante la funzione educativa?
È acquisito che i musei non debbano essere luoghi utili esclusivamente per la conservazione o per le ricerche degli studiosi: il valore educativo dell’azione da svolgere qui è fondamentale per la crescita culturale dei cittadini. Per questo ritengo sia necessario prendere in considerazione diversi livelli di lettura di un’opera; come è fondamentale non avere un atteggiamento onnisciente ma nemmeno paternalistico nei confronti del pubblico. Il “pubblico” è un insieme molto eterogeneo e non deve “subire” la visita al museo come un compito da svolgere, deve invece essere indotto a stabilire un dialogo attivo con i contenuti proposti

Quali sono gli strumenti adottati per raggiungere questo “pubblico”?
Ritengo importante porgere l’opera in modo che il suo apprezzamento possa avvenire nella maniera più intuitiva possibile, consentendo deduzioni e interpretazioni personali. Nella pratica questo vuol dire non appesantirne la fruizione con un sovrappiù di informazioni culturali. Vuol dire anche alleggerire la visita senza esporre una quantità di beni che mira a un’improbabile esaustività: è inutile sfiancare chi deve percorrere una mostra. Meglio creare all’interno del percorso espositivo focus che attirino l’attenzione del visitatore, e ne stimolino le capacità percettive. Vuol dire anche analizzare l’accostamento delle opere creando percorsi non necessariamente ed esclusivamente cronologici, in modo che ognuno possa spontaneamente creare le proprie associazioni e scoprire di essere in grado non solo di comprendere e di imparare, ma anche di strutturare un ragionamento a partire dalle proprie conoscenze. Da ultimo: vuol dire anche emozionare il visitatore proponendo una visione non asettica delle opere.

Per le mostre al Palazzo dell’Università e al Museo Diocesano avete collaborato con musei di mezza Sicilia. Come valutate questa esperienza?
Un’esperienza insieme costruttiva e complessa. Creare una rete di contatti con i prestatori è facilitato dall’esser parte di una struttura come la soprintendenza che è garanzia di tutela per i prestatori. Questo è quasi sempre valido per i musei, soprattutto per quelli statali e regionali, ma non è così scontato per il patrimonio di chiese e monasteri: la gran parte del patrimonio italiano storico artistico. Da alcuni anni esistono gli uffici diocesani per i beni culturali che sono un’interfaccia tra i nostri uffici e le tantissime chiese diffuse in modo capillare sul territorio. I rapporti che costruiamo quotidianamente con queste strutture, il lavoro di ispezione e di tutela, i finanziamenti che vengono dedicati agli interventi di restauro su questo patrimonio consentono di intercettare beni di solito poco accessibili: così è accaduto per l’icona del Seguace del Maestro di Mileto nella mostra su Agata. Ma anche i beni custoditi nelle sagrestie o negli spazi monastici come l’inedita tavola di ardesia del tardo Cinquecento che sarà presente nella mostra su Sofonisba Anguissola.

Aldo Premoli

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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