Paesaggio senza fine(stra). L’editoriale di Claudio Musso

Claudio Musso si interroga sui confini del paesaggio, soprattutto in un’epoca come quella attuale, dominata dalla presenza della tecnologia.

Da qualche tempo provo un interesse morboso per il paesaggio, m’interessano il lemma e le sue origini, non faccio che pensare alla sua (im)possibile (s-)definizione, mi arrovello sulle sue cornici, reali o immaginarie che siano. Insomma, una vera e propria “ossessione paesaggio”.
Niente a che vedere però con quell’“allarme paesaggio” o “allerta paesaggio” che da anni popolano il dibattito, spostando l’attenzione sempre sul versante politico e lasciando da parte, invece, tutto l’ambito culturale. Se è vero che spesso la parola che inizia con la “P” è ampiamente diffusa su qualsiasi canale di comunicazione, è altrettanto vero che il suo costante (ab)uso non fa che consumarla, allontanarla, con il rischio di perderla. Quando tutto è paesaggio, niente lo è davvero. Quali sono allora i confini del paesaggio?
La notizia che ha scosso il mondo di recente e che tutti si sono affannati a postare e condividere sui social è la prima rappresentazione fotografica (o almeno così è stata spesso definita) di un buco nero. Ripartiamo da qui. Da uno spazio-tempo assolutamente distante che, con l’utilizzo combinato di tecnologie all’avanguardia, diviene un’immagine a portata di tutti.

Nicholas Mirzoeff - Come vedere il mondo (Johan & Levi, 2017)

Nicholas Mirzoeff – Come vedere il mondo (Johan & Levi, 2017)

MIRZOEFF E CLARK

L’ipotesi è paradossale, lo ammetto, ma questa immagine potrebbe ridefinire la nostra idea di paesaggio? Il caso ricorda quello citato da Nicholas Mirzoeff nel suo Come vedere il mondo, la fotografia del globo terrestre scattata nel 1972 dall’astronauta Schmitt. “Da quando è stata scattata, nessun essere umano ha più goduto in prima persona di quella prospettiva, eppure, grazie a ‘Blue Marble’, la maggior parte di noi ha la sensazione di sapere che aspetto ha la Terra”. Registrare il pianeta al di fuori dell’atmosfera proietta il punto di vista oltre quella finestra che per secoli è stata la cornice “naturale” del paesaggio e spinge a sovrapporre i limiti del visibile (e del paesaggio) con i limiti dell’immagine.
Anche l’indagine artistica sul paesaggio, che prosegue incessante nonostante le alterne fortune del genere, si occupa spesso di indagare i rapporti esistenti tra l’immagine e la realtà. Del resto già Kenneth Clark, nel suo Il paesaggio nell’arte, sosteneva che la fotografia avesse avuto un’influenza indiretta sulla percezione e sull’arte: “Ha dato agli artisti la possibilità di allargare il campo della loro esperienza estetica molto al di là della loro diretta esperienza della natura”.

OLTRE L’ORIZZONTE

Il nostro immaginario è popolato e condizionato da contorni che i lens-based media hanno tracciato intorno al paesaggio, inquadrandolo e generando dei filtri che guidano la visione secondo percorsi prestabiliti. La mappa non è il territorio, lo sappiamo, e l’immagine non è l’ambiente, aggiungiamo. La sfida allora è quella di recuperare l’analisi e l’esperienza per disegnare nuove traiettorie. E per andare oltre l’orizzonte. Anzi, oltre l’orizzonte degli eventi.

Claudio Musso

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #49

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Claudio Musso

Claudio Musso

Critico d'arte e curatore indipendente, la sua attività di ricerca pone particolare attenzione al rapporto tra arte visiva, linguaggio e comunicazione, all'arte urbana e alle nuove tecnologie nel panorama artistico. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Archeologia e Storia…

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