Carol Rama l’europea. Di ritorno a Torino
GAM, Torino – fino al 5 febbraio 2017. Termina giustamente nel capoluogo torinese il tour europeo della grande retrospettiva dedicata a Carol Rama, artista scomparsa nel 2015. Una mostra completa e ragionata che consacra ancora una volta una figura geniale e fuori da ogni schema.
Per lei che aveva fatto di Torino, e in particolare della sua soffitta in via Napione, un alveo autosufficiente; per lei che tanti contatti aveva avuto con personaggi celebri del mondo dell’arte e della cultura in generale – da Man Ray a Edoardo Sanguineti – ma che infine, volente o nolente, si circondava di una ristrettissima cerchia di amici o presunti tali; per Carol Rama (Torino, 1918-2015) sarebbe stato sorprendente veder circolare le proprie opere al Macba di Barcellona e al Musée d’Art moderne de la Ville de Paris, e poi all’Espoo Museum of Modern Art e all’IMMA di Dublino, per far ritorno dopo un anno e più nella sua città, alla Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea.
NEMO PROPHETA IN PATRIA?
Il consueto nemo propheta in patria? Stavolta no, sarebbe – ed è stata – una polemicuccia da disinformati o da rimestatori di fanghiglia. Perché è pur vero che Carol Rama ha dovuto attendere decenni per veder riconosciuta la propria opera, ma d’altro canto chi l’ha portata – finalmente! – agli onori dell’empireo dell’arte è stata la Biennale di Venezia, con quel Leone d’oro assegnato nel 2003, e l’anno successivo Torino, nella veste della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, che le dedicò una grande antologica (chi la definì “retrospettiva” fu apostrofato dall’artista con una stilettata: “Non sono mica morta!”) curata da Guido Curto e allestita da Corrado Levi insieme a quella felicissima esperienza d’architettura che fu il gruppo Cliostraat. Certo, ci si può sempre aggrappare al fatto che i curatori di questa grande rassegna itinerante sono “stranieri”: e con ciò? L’internazionalismo ci aggrada soltanto quando sono i nostri connazionali a lavorare, e bene, all’estero?
UN TRIBUTO STRAORDINARIO
Detto questo, gli spazi sotterranei della GAM accolgono un tributo straordinario a un’artista che mai, o quasi, si allineò a tendenze e movimenti, e che pagò cara tale indipendenza, di pensiero innanzitutto, da una cifra distintiva che la rendesse riconoscibile e commercializzabile agevolmente. Ma il prezzo pagato ora risplende con tale graffiante luminosità da far dimenticare finanche la location non entusiasmante: nulla da invidiare a una Louise Bourgeois, volendo restare in ambito femminile e non-allineato; ma soprattutto nulla da invidiare a una schiera di artisti – di qualunque genere e nazionalità – legittimamente osannati. Nessuno come Carol Rama? No, sarebbe un goffo e ingiustificato tentativo di recuperare il tempo perduto. Ma è doveroso reinserirla in una storia dell’arte che necessita, ora più che mai, di una – anzi, di molte – riscrittura.
Menzione per la Fondazione Sardi per l’arte, che ha sponsorizzato l’edizione italiana del catalogo, ricco di contributi vecchi e nuovi sull’opera di Carol Rama.
Marco Enrico Giacomelli
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