9 spettacoli per ricordare il G8 di Genova 2001

“G8 project – il mondo che abbiamo” è il titolo del programma voluto dal direttore Teatro Nazionale di Genova Davide Livermore e curato da Andrea Porcheddu per ricordare il ventennale del G8 di Genova. Un’occasione per riflettere su quanto accadde allora e per tentare di immaginare un futuro “sostenibile”.

Nove nuovi testi teatrali commissionati ad altrettanti drammaturghi in rappresentanza degli otto Paesi – cui è stata aggiunta l’Unione Europea – che, nel luglio del 2001, parteciparono a quel G8 passato alla storia non, come auspicato, per le coraggiose decisioni prese in merito al futuro del pianeta, bensì per quella tragica sospensione dei diritti democratici della quale, ancora oggi, responsabilità e colpe rimangono appannate.
Nove drammaturghi – Roland Schimmelpfennig (Germania), Nathalie Fillion (Francia), Guillermo Verdecchia (Canada), Fausto Paravidino (Italia), Sabrina Mahfouz (UK), Toshiro Suzue (Giappone), Wendy MacLeod (USA), Ivan Vyrypaev (Russia) e Fabrice Murgia (Belgio) – in fertile dialogo con artisti italiani – traduttori, registi e attori – nella creazione di nove spettacoli proposti sabato 9 ottobre in una lunga maratona di quasi dodici ore e, fino alla fine del mese, tre per serata, sia al Teatro Ivo Chiesa che al Gustavo Modena di Genova.

Change le monde, trouve la guerre, photo Federico Pitto

Change le monde, trouve la guerre, photo Federico Pitto

RICOSTRUIRE IL PASSATO

La commissione ricevuta dai nove drammaturghi coinvolti nel progetto non consisteva in una traccia rigida da sviluppare, bensì in una suggestione dalla quale lasciarsi stimolare, rintracciando nella propria sensibilità, nella propria memoria, nel proprio idioletto, le tessere con le quali costruire un copione originale. Ecco, dunque, la natura inevitabilmente composita dei nove testi: peculiarità che, tuttavia, non impedisce di riconoscere approcci affini e attitudini condivise.
Ovviamente non poteva mancare la sacrosanta rievocazione di quanto accadde a Genova nell’estate del 2001 e le conseguenze – in primo luogo una repentina e crudele perdita di innocenza – di quell’esperienza su chi la visse in prima persona. Così Change le monde, trouve la guerre di Fabrice Murgia, diretto da Thea Dellavalle: un hard-disk che conserva le immagini realizzate vent’anni prima a Genova, quando, inaspettatamente e violentemente, la protagonista viene scaraventata da un’adolescenza ingenuamente fiduciosa in una ruvida età adulta in cui, nondimeno, ancora sopravvive l’utopica illusione di appartenere a una massa compatta in lotta per un futuro migliore. Nulla è più come prima dopo essere stati a Genova e quell’evento può corrispondere anche all’ultimo capitolo di un’esaltante educazione sentimental-politica: così in Our Heart Learns, il testo di Guillermo Verdecchia brechtianamente messo in scena da Mercedes Martini e in cui le ragionevoli massime di Chomsky convivono con i passionali e istintivi moventi del cuore. Sentimenti che si trasformano, si affievoliscono per poi riaccendersi in Transcendance dell’anglo-egiziana Sabrina Mahfouz che, nel play diretto da Serena Sinigaglia, accompagna per un ventennio una coppia che tenta invano di affogare nel consumo di droga il trauma vissuto. Un incubo che assume tonalità angosciose in Sherpa, l’asciutto e raggelante testo di Roland Schimmelpfennig, di cui la regista Georgina Pi sa restituire tanto l’archetipica dimensione tragica quanto la serrata attualità delle questioni affrontate. Interrogativi tuttora aperti come lucidamente chiarito da Fausto Paravidino nel lavoro da lui stesso diretto e co- interpretato: il suo Genova 21 è una denuncia, problematica e pure auto-critica, della passività da divano che pare avere contagiato non soltanto coloro che manifestarono vent’anni fa.
E sulle ombre che ancora impediscono una ricostruzione cristallina delle responsabilità delle istituzioni cerca di attirare l’attenzione Basta!, una sorta di irriverente cartoon teatrale della statunitense Wendy MacLeod, allestito da Kiara Pipino premendo sul pedale, in verità poco efficace, della comicità grottesca.

Il vigneto, photo Federico Pitto

Il vigneto, photo Federico Pitto

E IMMAGINARE IL FUTURO

Ci sono poi i drammaturghi che hanno scelto di incentrare i propri testi su quelle tematiche – la globalizzazione, la problematica ambientale, l’ingiustizia sociale – che avrebbero dovuto essere al centro delle riunioni fra gli otto “grandi” del pianeta e che, vent’anni dopo, ancora animano il dibattito internazionale. Ecco, allora, il limpido e amaro ritratto di un mondo che si sta diligentemente autodistruggendo in Dati sensibili: New Constructive Ethics, il monologo del russo Ivan Vyrypaev tradotto, diretto e interpretato da Teodoro Bonci del Bene: se è vero che “il mondo è la playstation di Dio”, è altrettanto inoppugnabile che l’umanità non si risparmia nell’inventare per il suo “creatore” nuovi diletti.
Il giapponese Toshiro Suzue, invece, edifica il proprio dramma, Il vigneto – regia di Thaiz Bozano ‒ sulle aporie della globalizzazione, fra consuetudini trite e imperturbabili alle inclinazioni personali e necessità di difendere dall’omologazione il proprio spicchio di mondo. Problematiche universali che la francese Nathalie Fillion – anche regista del suo testo – riconduce alla dimensione personale: il suo In situ è costruito così sull’accavallarsi dei sogni/incubi di personaggi reali e non – un’attrice e suo figlio, una cantante-psicologa e pure Cristoforo Colombo. Ecco che, allora, il mare, nella sua distesa apparentemente infinita, diventa metafora di un orizzonte ignoto ma non necessariamente procelloso.

Laura Bevione

www.teatronazionalegenova.it

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Laura Bevione

Laura Bevione

Laura Bevione è dottore di ricerca in Storia dello Spettacolo. Insegnante di Lettere e giornalista pubblicista, è da molti anni critico teatrale. Ha progettato e condotto incontri di formazione teatrale rivolti al pubblico. Ha curato il volume “Una storia. Dal…

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