Teatro. L’inondazione di Curon raccontata da OHT

Prima assoluta al Teatro Sociale di Trento del lavoro di OHT. Che è poi il vincitore del Fringe OPER.A 20.21.

Lo spettacolo ha premesse storiche. Il progetto, si legge nel comunicato, sviluppa dati di oggettiva crudezza: la costruzione di una grande diga nel 1950 unificò il lago di Resia e il lago di Mezzo, sommergendo 523 ettari di terreno coltivato e 163 case dell’antico abitato di Curon, in Val Venosta. Inutili le proteste della popolazione che si oppose fermamente alla costruzione della diga e alla conseguente distruzione del paese. Di Curon non è rimasto più niente, a eccezione della parte superiore del campanile della Chiesa di Sant’Anna, che spunta dall’acqua.
Cronaca “alla Paolini” e un gran impegno di mezzi, forze, risorse. Una produzione Orchestra Haydn di Bolzano e Trento in collaborazione con Centrale di Fies, da un’idea di Filippo Andreatta e Paola Villani (che cura il set-design), lo spettacolo accoglie in scena la stessa Orchestra Haydn in un’atmosfera trendy-indie. Filippo Andreatta, nella sua intervista rilasciata per il programma di sala, cita molti autori a cui si è ispirata la regia del suo Curon ma non quell’Empire di Andy Warhol che svetta nel silenzio del lungometraggio come il campanile del paese inondato dalle acque dell’impresa Montecatini negli Anni Cinquanta. Stesso immoto interrogativo sul senso dello sguardo rivolto alla materia della visione, ready made di se stessa. E poi l’acqua, come quella con cui Bill Viola (altro artista non citato) lava e purifica l’anima dei suoi protagonisti sciacquati nel liquido amniotico rigenerante. Di acqua si parla anche qui, quella che sommerge le responsabilità, che zittisce in un vuoto pneumatico la voce degli abitanti sfollati forzatamente, quella che ci fa pesci in platea a osservare l’acquario di una cascata ineluttabile. Le lacrime della Dolorosa di Viola sono i cinquecento litri di acqua versati sul modellino del campanile medievale del paese inquadrato a telecamera fissa.

OHT-Office for a Human Theatre, Curon-Graun. Storia di un villaggio affogato. Teatro Sociale, Trento 2018. Photo Michele Purin

OHT-Office for a Human Theatre, Curon-Graun. Storia di un villaggio affogato. Teatro Sociale, Trento 2018. Photo Michele Purin

PAESAGGIO E DRAMMATURGIA

Il lavoro, in prima assoluta al Teatro Sociale di Trento dopo aver vinto il premio OPER.A. 20.21 Fringe, ha nelle premesse l’intenzione di fare del paesaggio una drammaturgia visiva. Una recente mostra proprio da queste parti, al Mart di Rovereto, ci aveva raccontato come del paesaggio il contemporaneo debba dire il suo essere frattale, integrazione dinamica tra i nuovi abitanti e ciò che percepiscono gli autoctoni, relazione tra le infrastrutture, rapporto inedito con la memoria intesa come traccia e velocità di percorrenza, di attraversamento. Per il gruppo OHT il paesaggio è stratificazione di punti di vista, oltre che luogo da percorrere a bordo di una automobile alla ricerca dei tre laghi di Resia. Dal documentario alla suggestione. Nel realismo s’insinua la curiosità sull’oggetto e la ricerca si fa turismo dello sguardo.
Nel paesaggio lo sguardo confonde il materiale con l’artificiale in un piano sequenza che ha (questa volta tra i citati) una certa casualità alla Baldassarri e alla sua pallina da inquadrare nel campo. Tre i nuclei narrativi per 40 minuti di “teatro musicale”.

OHT-Office for a Human Theatre, Curon-Graun. Storia di un villaggio affogato. Teatro Sociale, Trento 2018. Photo Michele Purin

OHT-Office for a Human Theatre, Curon-Graun. Storia di un villaggio affogato. Teatro Sociale, Trento 2018. Photo Michele Purin

SILENZIO E SOLENNITÀ

Il campanile di Curon è prima monolite di silenzio, menhir che svetta a monito di un dolore che dilaga nei meandri di una vallata di confine, di frontiera. È poi l’oggetto cercato e infine apparso sul palco in forma di feticcio, sostituto vicario di un’esperienza estetica che non si può dare e nemmeno possedere. Appare e Dis-appare, direbbe Prevert, galleggiante nella memoria liquida del ricordo. Un racconto preceduto da una premessa testuale, ecco il primo modulo. Più convincente questo perché come l’assenza delle campane e del suono è evidente nella plasticità dell’oggetto transazionale, così i nomi, i dati, i numeri nel nero di una cronaca asciutta sono più immagine perché propri di ciò che possiamo definire immaginazione. Dal fantasma del paese all’imago, dalla memoria alla phantasia che si cristallizza, si reifica, direbbero gli accademici.
Di assenza fisica si sarebbe dovuto dire e soprattutto di silenzio. Quello dell’apnea. Che neanche Cage forse avrebbe voluto far sentire. Ma l’accordo con lo spartito nella scansione dei quadri ha cavalcato l’onda emotiva. Non a caso il primo violino concertatore Stefano Ferrario ha scelto Arvo Pärt, e quell’ultimo Cantus in memore of Benjamin Britten gli ha restituito tutta la religiosità e la solennità di una polifonia di voci, di un intreccio solido tra canto e bordone. E non a caso un testimone di quei fatti in platea ha preso la parola per dire: “Ho rivissuto tutto, come avevo vissuto allora”. La narrazione è salva.

Simone Azzoni

www.officeforahumantheatre.org

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Simone Azzoni

Simone Azzoni

Simone Azzoni (Asola 1972) è critico d’arte e docente di Storia dell’arte contemporanea presso lo IUSVE. Insegna inoltre Lettura critica dell’immagine e Storia dell’Arte presso l’Istituto di Design Palladio di Verona. Si interessa di Net Art e New Media Art…

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