Hamletmachine trent’anni dopo. Intervista a Robert Wilson

In attesa del 60esimo Festival dei Due Mondi di Spoleto, che inaugura sabato 30 giugno, abbiamo scambiato alcune battute con il regista americano, noto per i suoi allestimenti dilatati nello spazio e nel tempo. In Umbria, il regista americano presenterà il suo nuovo allestimento del dramma di Heiner Müller a trent’anni dalla storica prima a New York.

Dopo aver tradotto l’Amleto di Shakespeare per un teatro di Berlino Est, scrissi Hamletmachine. E la mia pièce ‘americana’, con citazioni da T.S. Eliot, Andy Warhol, Coca Cola, Ezra Pound e Susan Atkins. Lo si può leggere come un pamphlet contra l’illusione dell’innocenza in un mondo come il nostro. Sono felice che Robert Wilson allestisca la mia pièce, poiché il suo teatro è un mondo in se stesso “. Così Heiner Müller esprimeva la sua stima nei confronti del suo teatro. Nello specifico, come ha affrontato il testo per creare questo “mondo parallelo” alla visione di Müller?
L’ho diretto la prima volta alla New York University su suggerimento di Heiner Müller. Il testo è molto denso, talvolta violento. Da parte mia, cerco di presentarlo in modo “leggero”. Ma Heiner mi ha detto che, dopo aver visto la mia direzione, per lui il testo è diventato più terrificante, e che ho dato uno spazio al suo intellettualismo che non aveva trovato con altri registi. Ha anche detto che sono riuscito a portare l’umorismo nel testo, che non aveva mai visto né sentito in altri allestimenti. Ho iniziato a lavorare in punta di piedi, con la mente rivolta alla celebre frase di Andy Warhol: “Voglio essere una macchina”. Dopo aver visto a Berlino uno dei miei primi lavori, Heiner Müller mi disse che gli piaceva perché gli attori sembravano meccanicamente liberi. In fondo, la messa in scena è un po’ come una macchina. Poi ho provato separatamente il testo letterale, e la dizione formale. Gli studenti di New York e di Amburgo con i quali fu allestito la prima volta, non avevano alcuna formazione per questo tipo di dizione. Avevano invece lavorato sull’interpretazione, psicologica e naturalistica, e lo stesso ho fatto con gli studenti della Silvio d’Amico di Roma.

Heiner Müller, Hamletmachine. Photo Robert Marshak

Heiner Müller, Hamletmachine. Photo Robert Marshak

Quale metodo di lavoro ha seguito?
Lavoro prima sul testo dal punto di vista dell’udito, come si trattasse di un radiodramma. Successivamente, lo metto nero su bianco. L’azione scenica e il suono sono come due tracce parallele. Idealmente nel loro dualismo possono rafforzarsi reciprocamente senza bisogno di ulteriori orpelli scenici. Vediamo quello che vediamo e sentiamo ciò che sentiamo; ma anche se azione e suono sono dinamiche diverse, quando vengono unite danno vita a qualcosa di sorprendente.

Trent’anni fa, a New York, il primo allestimento di Hamletmachine ebbe un cast di soli attori debuttanti. Anche quest’anno, a Spoleto, ha deciso di affidarsi ai giovani. Pensa che il loro approccio, probabilmente più istintivo, sia il più adatto per questo tipo di testo?
Credo che il testo di Hamletmachine, in quanto “corpo di parole” denso e molto compresso, acquisti una sorta di libertà quando viene recitato da attori giovani. Si basa sulla rivoluzione ungherese e i giovani di oggi non hanno ricordi di questo evento della fine degli Anni Cinquanta. Per cui l’unico modo per affrontarlo è a livello filosofico, mentre in genere gli europei sono ancora troppo vicini agli avvenimenti in se stessi. Mi piace, quindi, quando il testo viene “trasmesso” da attori giovani.

Heiner Müller, Hamletmachine. Photo Robert Marshak

Heiner Müller, Hamletmachine. Photo Robert Marshak

“Tempo” e “immagine” sono due costanti del suo approccio alla scena. In relazione a ciò, cosa deve aspettarsi il pubblico? Avremo una scenografia minimalista, oppure più articolata? E ancora, la presenza di Jerry Loeber e Mike Stoller lascia pensare a una colonna sonora di prim’ordine: sarà eseguita dal vivo?
Certe volte ho difficoltà nel distinguere ciò che è astratto da ciò che non lo è. La scenografia comprende un lungo tavolo, alcune sedie, un muro basso e un albero. Sono tutti oggetti concreti, direi. La colonna sonora è registrata; si tratta della versione a pianoforte della loro canzone Is that all there is, resa famosa da Peggy Lee.

Niccolò Lucarelli

www.festivaldispoleto.com

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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