A quindici anni da “Finale di partita”. Un nuovo Beckett di Krypton

Li avevamo lasciati, quindici anni fa, dietro le sbarre di una gabbia-prigione, spiati da microtelecamere che rimandavano immagini su tre grandi schermi. Ora la Compagnia Krypton torna a Beckett.

Giancarlo Cauteruccio, nel ruolo dello Hamm di Finale di partita, piantato sul suo trono-poltrona a rotelle, indossava lunghi guanti di raso, tacchi a spillo e un enorme reggiseno di pelle sulla pancia strabordante. Fulvio Cauteruccio, Clov, sempre in piedi e dalla frenesia motoria, aveva capelli biondo acceso su una tenuta da paggetto. Visivamente la scena rimandava all’espressionismo fassbinderiano e al mondo pittorico di Francis Bacon.
Ora, invece, dopo quindici anni i riferimenti visivi sono Duchamp, per quella porta laterale da dove entra ed esce Clov; e Burri, per quei teli di sacco che delimitano le pareti. Uguali, invece, sono rimasti i due video laterali sempre accesi con le “formiche” in bianco e nero, emblematiche finestre aperte verso il nulla fuori da quella stanza.
Siamo di nuovo dentro Finale di partita, di Samuel Beckett, un felice ritorno per la coppia di fratelli-artisti della compagnia Krypton con sede al Teatro Studio di Scandicci, che riprendono il celebre testo per una ulteriore riflessione che “tenta di entrare scientificamente dentro l’opera per un nuovo dialogo con Beckett”. Perché il ricorso al teatro di Beckett è ininterrotto.

Teatro Studio Krypton - Finale di partita

Teatro Studio Krypton – Finale di partita

Nell’edizione di allora la singolarità dello spettacolo era dovuta alla traduzione in calabrese, o meglio nella parlata dell’area cosentina. Quello spettacolo, che mutò il titolo in U juoco sta’ finisciennu, rappresentò una rivoluzionaria necessità (la versione era stata curata da John Trumper, nativo del Galles, docente in Italia e esperto di nostri dialetti). Infarcito di umorismo, accentuava l’aspetto di oscuro dramma famigliare della vicenda, in sintonia con le radici e l’idioma del sud della penisola adottato, decretando così un allontanamento dalla lettura non più metafisica del testo beckettiano. La carnalità antica e potentissima del dialetto calabrese faceva così irruzione, legittimandone l’uso, nella scena teatrale contemporanea accanto alle altre “lingue” meridionali – il napoletano e il siciliano – più frequentate.
Nell’edizione attuale è “la centralità dell’attore e il canto della parola” l’interesse dello scandaglio, anche se è rimasto l’eco della cadenza meridionale di tutti e quattro gli interpreti, “intesi come testimoni reali delle proprie esistenze”.
Una trama, come sappiamo, non c’è in Finale di partita. Si svolge in un ambiente chiuso, in un interno assediato da un “fuori” deserto e vanamente a tratti interrogato: una landa desertica che assedia e ripara i protagonisti, da cui non emerge alcuna forma di vita. Immobile è del resto l’esistenza che conducono in rapporto a una straniata dimensione del tempo. La partita che vi si gioca è a scacchi, e siamo alla stretta finale. Da un lato, immersi in due bidoni, amputati delle gambe, sono Nagg e Nell, i due vecchi rincitrulliti genitori di Hamm. Costui, cieco (lo denunciano gli occhiali neri) e paralizzato, siede su un trono a rotelle. Gli è accanto Clov, autentico servo di scena, su e giù dalla scala portatile a fingere di scrutare l’orizzonte con un binocolo. Sono i due re degli scacchi, ma anche padrone e servo, carnefice e vittima (riottosa). Il loro agonismo è senza esclusione di colpi, composto di bisogni, suppliche e ordini, da una parte; di servilismo e di ribellione insieme, dall’altro, in un clima di umorismo nero, di controversie accese e subito spente, di gesti contraddittori, di perversità gratuite, di barzellette e d’invocazioni a un Padre che, come Godot, non si farà vivo, di poesia e allucinazione, di obbedienza e di separazione.

Teatro Studio Krypton - Finale di partita

Teatro Studio Krypton – Finale di partita

Una trama, dicevamo, non c’è, spiegazioni razionali non se ne danno; c’è la suggestione di condizioni umane, di segregazione e di attesa, dove s’intride il senso di una ricerca di sapere e di trovarsi, ma tenendo presente che si tratta di un gioco, e teatrale per giunta, se è vero che Hamm è contrazione e corruzione di Hamlet, e Clov rimanda a Clown. Gioco sta anche per rito, e quindi la circolarità di situazioni e parole. I dialoghi sono monologhi incastrati, come a sottolineare una non comunicazione o una indifferenza verso di essi. I due, infatti, monologano in alternanza, componendo la struttura di una partita a scacchi. Che qui, nei due fratelli interpreti, è anche un loro personale confronto umano e conflittuale, che li diversifica anche artisticamente. Già dall’inizio si rimane subito catturati dall’abituale rapporto sadico e dalla congenita ironia che li contraddistingue. E straordinaria è la loro prova: gigionesca ma controllatissima, sontuosa e laida, di Giancarlo-Hamm; ipercinetica e con la comicità di una condanna, di Fulvio-Clov.

Giuseppe Distefano

www.compagniakrypton.it

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Giuseppe Distefano

Giuseppe Distefano

Critico di teatro e di danza, fotogiornalista e photoeditor, fotografo di scena, ad ogni spettacolo coltiva la necessità di raccontare ciò a cui assiste, narrare ciò che accade in scena cercando di fornire il più possibile gli elementi per coinvolgere…

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