Il post-impressionismo emozionale della compositrice Silvia Cignoli. L’intervista 

Tra improvvisazioni radicali, avant-rock, musica elettronica e colonne sonore, la chitarrista e sound artist Silvia Cignoli racconta il suo lavoro e il suo rapporto con l’arte

Silvia Cignoli (Milano) è una chitarrista, compositrice e sound artist. Dopo gli studi in chitarra classica alla Civica di Milano, dove ad oggi è docente, e il diploma al Conservatorio Verdi di Milano, ottiene la lode nel Master of Arts in Music Performance al Conservatorio della Svizzera Italiana. Negli anni costruisce un percorso versatile e raffinato, spaziando dalla musica classica, con concerti come solista e formazioni cameristiche, all’interpretazione della musica contemporanea, per cui riceve diversi premi. Come interprete ha collaborato più volte con l’Accademia del Teatro alla Scala di Milano, suonando presso il Teatro alla Scala, il Teatro Grande di Brescia, il Teatro Valli di Reggio Emilia, il Teatro Pavarotti di Modena, Il Teatro d’Opera di Kaliningrad e di Muscat. Parallelamente, si distingue per le sue improvvisazioni radicali tra avant-rock ed elettronica, e per il suo percorso autoriale come compositrice, anche di colonne sonore, basato su una ricerca timbrica dove, con chitarre preparate e aumentate, sintetizzatori e pedali elettronici, costruisce atmosfere sonore delicate e al contempo energetiche, definite come un “post-impressionismo emozionale”. Pubblica i dischi solisti The Wharmerall (2020), un alchemico dark ambient, Digital Memories From a Suspended World (2021), colonna sonora del documentario Tutte a casa – memorie digitali da un mondo sospeso, per la regia di D’Eredità, Baratta, Marino, e Allegory of Earth and Water (2024), di cui un brano è accompagnato dal cortometraggio di Salvatore Insana. Si è esibita in numerose rassegne di musica contemporanea e sperimentale e in festival audiovisuali in Italia, Polonia, Austria, Cipro. Nel 2024 è stata invitata dall’Istituto Italiano di Cultura di Osaka per un concerto solistico di musiche proprie al Goethe Institut di Kyoto. Cura la direzione artistica della rassegna musicale Sonica Eterea, quest’anno alla seconda edizione con tre concerti (5-12-19 ottobre) in due chiese storiche a Vaprio D’Adda e a Pozzo D’Adda. 

Silvia Cignoli. Foto Rosamaria Montalbano
Silvia Cignoli. Foto Rosamaria Montalbano

Intervista a Silvia Cignoli 

La tua definizione di arte. 
Credo che l’arte sia un sistema amorale. Linguaggio del sublime, della purezza e dell’elegia come del torbido più oscuro, dell’inenarrabile, dell’osceno. La sua potenza sta nell’elevare entrambe le dimensioni ad una sfera metafisica. Forse l’arte è una dimensione dove le creazioni e chi le produce, smettono di essere “umane” e costruiscono sistemi di comunicazione emozionali che nella loro molteplicità e con infiniti vocabolari, mettono in vibrazione empatica una coscienza comunitaria fuori da sé, fuori dallo spazio, dal tempo, dalla logica. 

La tua definizione di musica. 
Musica per me è prima di tutto verità. Dove sta la vera musica non c’è spazio per il superfluo, per le sovrastrutture, per gli intellettualismi, per il come prima del cosa. La musica parla alla pancia, sia essa rumore, apparente caos, silenzio, melodia nascosta o urlata. La musica ci parla del nostro tempo, con la voce del nostro tempo, che a volte è anche quella del passato e della memoria che di esso ci rimane. 

Ti definisci una “artista”? 
Direi di sì, con tutta l’umiltà che richiede questa risposta. Lavoro con la musica e con la creatività, sempre studiando e prendendo dalle diverse esperienze la linfa per costruire un percorso il più possibile personale. Il grado di emotività e di attraversamento profondo di certe opere mi ha confermato in tenera età quale fosse la mia strada.  

L’opera di arte visiva che più ami. 
Tante delle opere di Odilon Redon, che dall’adolescenza mi hanno folgorata per il loro colorismo, il preziosismo necessario, privo di fronzoli, ma così ultraterreno, incantato e magnifico da generare in me un desiderio, un magnetismo quasi doloroso di distacco dalla realtà. Poi tante altre: sono sempre stata grande appassionata di arte. 

La canzone che più ami. 
Heavy Water/I’d Rather Be Sleeping di Grouper. 

I tuoi recenti progetti. 
Alla Mostra del Cinema di Venezia hanno appena presentato il documentario di Valerio Ciriaci su Elvira Notari, prima regista donna italiana, da me musicato. Questa esperienza mi sta motivando molto verso la creazione di musica per immagini. Sto completando un disco solista, una evoluzione rispetto all’ultimo lavoro Allegory of Earth and Water, poiché oltre a chitarra elettrica ed elettronica ho incluso anche il mio primo amore, la chitarra classica, ma anche la voce. Inoltre, sto cominciando a collaborare con una compagnia teatrale e di danza che adoro e sta per uscire il disco del progetto W.I.T.C.H.E.S.S. di Francesca Remigi di cui faccio parte, ed un altro disco, in questo caso di musica contemporanea, in duo con la flautista Laura Faoro. 

Un ricordo della tua vita.      
Mia nonna, Alzheimer avanzato. Non diceva il mio nome da tempo. Il suo parlare era tutto un magma di suoni indistinti. Il mio parlare era un affannoso cercare contatto. In un momento, eravamo fuori dall’ospedale, all’aperto, le ho chiesto sbadatamente se conoscesse il nome del fiore davanti a cui ci trovavamo. Lei ha risposto indicandolo: “Silvia”. 

Samantha Stella 

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Samantha Stella

Samantha Stella

Samantha Stella, nata a Genova, vive a Milano. Artista visiva, performer, set & costume designer, regista, musicista, cantante. Sviluppa principalmente progetti focalizzati sul corpo e pratiche di discipline live utilizzando differenti linguaggi, installazioni con elementi strutturali e corporei, fotografia, video,…

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