Un solo brano di 44 minuti: l’ultimo album di Phil Elverum aka The Microphones

È la prima uscita con il moniker The Microphones in 17 anni, ed è un concept album che comprende un’unica traccia di 44 minuti, accompagnata da un cortometraggio fatto di 761 foto stampate e scattate dallo stesso cantautore statunitense Phil Elverum.

Phil Elverum è uno dei cantautori più rilevanti del nuovo millennio. Ma è conosciuto in Italia solo dal ristretto gruppo di amanti della musica indie o da musicofili onnivori come il pittore Francesco Lauretta che non si stanca mai di tesserne le lodi. Che c’entra un artista visivo con un cantautore di culto? C’entra eccome: ma procediamo con ordine.
Nativo di Anacortes, cittadina di pescatori sull’Oceano Pacifico poco distante dal confine col Canada, Elverum è tornato, 17 anni dopo l’osannato Mount Erie (2003), con un lavoro che definire semplicemente un nuovo “album” sarebbe ridicolo. Si tratta di un’unica traccia di 44’44”, accompagnata da un cortometraggio ispirato alle 761 foto stampate su carta che Elverum ha definito “un video con testi … uno slideshow, una presentazione powerpoint, un libro sfogliabile e un documentario“. Per farlo, ha rispolverato il suo vecchio moniker The Microphones pubblicando, il 7 agosto 2020 con la sua etichetta discografica P.W. Elverum & Sun, l’album Microphones in 2020, prima uscita di The Microphones in 17 anni.

MICROPHONES IN 2020

Microphones in 2020 è infatti un esperimento intertestuale che si avvale delle pratiche DIY (do it yourself) care alla scena artistica indie: lo scopo è attivare una memoria fatta contemporaneamente di passato, presente e futuro.
La familiarità con la pratica spoken-word ha permesso a Elverum di realizzare questo progetto attraverso vari supporti (digitale, video, vinile con libretto e poster). Nello specifico si tratta di un lungo flusso di coscienza che esorcizza il crocevia a cui è giunta la sua vita: prima il dolore per la morte per cancro della moglie trentacinquenne Geneviève Castrée, che lo ha lasciato solo con una bimba di pochi mesi, e poi l’amarezza per la fine repentina del matrimonio seguente con l’attrice Michelle Williams.
Il flusso di coscienza è scandito dalle stampe fotografiche che compaiono su una carta quadrettata bianca non perfettamente intonsa. In un’unica inquadratura scorrono immagini del passato di Elverum in mezzo a paesaggi solitari dove, tra doppie esposizioni e tempi dilatati, il corpo del musicista appare spesso fuori fuoco, privo di materialità, mentre la natura che lo circonda è nitida e dirompente. Ogni fotogramma resta davanti ai nostri occhi per poco più 3 secondi.

Phil Elverum. Photo Katy Hancock. Courtesy Phil Elverum

Phil Elverum. Photo Katy Hancock. Courtesy Phil Elverum

LA MUSICA DI PHIL ELVERUM

Nella sua semplicità, la musica ‒ che pure è la protagonista di questa operazione ‒ appare fragile, ma in realtà è talmente particolareggiata da rendere necessario l’ascolto in cuffia.
La traccia è strutturata su due accordi ripetuti in loop che Elverum suona con la prima chitarra posseduta da adolescente: arrivano poi innesti successivi e dilatati di altri strumenti (pianoforte, basso e batteria). La chitarra talvolta si sdoppia, come accade per la voce, ma non per i primi sette minuti – scanditi in uno spazio che all’ascoltatore fa perdere l’orientamento e sovrascrivere i propri pensieri.
Esaurita l’introduzione, all’ottavo minuto compare la sua voce che inizia il percorso immaginifico di un’“educazione sentimentale” con la musica che lo ha portato a essere quello che è oggi.

Il vero stato di tutte le cose:
continuo a non morire
il sole continua a sorgere.
Ricordo la mia vita come se fosse solo un po’
sogni di cui non mi fido”.

Altri quattro minuti e una prima elettrificazione scuote le acque. Al 13esimo entrano le percussioni, e ogni volta che il brano pare distendersi si ripiega invece su se stesso. Al 20esimo minuto appaiono questi versi:

Scendendo per l’oscuro pendio sotto il Monte Erie
ero già quello che sono:
una bottiglia di inchiostro, nastro adesivo
una scatola di cartone di cassette soprannominate
Julie Doiron, Tori Amos, Cranberries, Sinead O’Connor,
Eric’s Trip, Red House Painters, Sonic Youth, This Mortal Coil,
Kurt Cobain era morto
avevo la mia patente di guida e una ragazza
e ci stringevamo l’un l’altro
e sognavamo che qualcosa fosse permanente”.

Così, quando un attimo dopo le distorsioni riempiono la scena, l’accordo in perfetto sincrono con le liriche ha del sinfonico. È questa la parte centrale della partitura e rasenta il rumorismo. Seguono un nuovo momento di calma, una ninna-nanna bisbigliata, e un’apoteosi di suoni spaziali. È passata intanto mezz’ora. Negli ultimi quindici minuti si riparte dall’inizio ed Elverum ci trascina ondeggiando intorno allo stesso canovaccio.

PHIL ELVERUM E L’INDIE

Microphones in 2020 è un progetto che guarda ai caposaldi della cultura musicale indie a stelle e strisce. La lirica al centro ha sempre rappresentato un momento di forza nella produzione di Elverum, ma la sua intensità emerge in pieno solo nella versione audiovisiva dell’opera. Qui siamo nel solco di alcuni visual album nel mondo underground come Quiet Cities dei Pan American (2004), ma con lo sguardo rivolto pure al cinema sperimentale americano, in particolare al film (nostalgia) di Hollis Frampton (1971).

Nothing’s really changed
In this effort that never end
”.

Sono questi gli ultimi due versi.

Aldo Premoli

www.pwelverumandsun.com

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

Scopri di più