Tra jazz, rock e soul-funk. Jesus Christ Superstar a Roma

Torna al Sistina di Roma l’opera rock più amata di tutti i tempi nella versione originale di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice. Protagonista è ancora Ted Neeley, storico interprete del celebre successo cinematografico del 1973. Abbiamo assistito alla prima romana e ve la raccontiamo.

Intramontabile e carismatico Ted Neeley, nella versione in lingua inglese della pluripremiata opera rock di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice, andata in scena il 6 dicembre al Teatro Sistina di Roma (in replica fino al 16 dicembre), con la regia di Massimo Romeo Piparo. Eppure sembra ieri quando lo stesso Neeley venne assunto per la messa in scena di Jesus Christ Superstar a Broadway, facendo il provino per la parte di Giuda (anche se di lì a poco diventa il sostituto per la parte di Gesù che interpreta, poi, nella versione di Los Angeles all’Universal Amphitheatre). Il 1973 lo consacra definitivamente allo schermo con la versione cinematografica dell’opera teatrale, nel ruolo di Gesù di Nazareth. Una consacrazione che si è rinnovata al Sistina, conquistando il pubblico romano. Travolgente l’orchestra dal vivo diretta dal maestro Emanuele Friello, in una scenografia semplice, con un’ambientazione minimal e pochi elementi architettonici. Orchestra a vista che, grazie a una piattaforma girevole, diventa di volta in volta parte integrante dello show. A livello musicale lo spettacolo rispetta fedelmente le melodie della versione originale di Webber e Rice. Il soundtrack è così fedele da riprodurre addirittura il rumore delle frustate nella straziante scena della flagellazione. Una grandiosa summa di generi musicali, dal jazz, rock al soul-funk, fino alla splendida ballata folk cantata da Maria Maddalena (I Don’t Know How To Love Him).

Jesus Christ Superstar, Teatro Sistina, Roma 2018. Photo Margot De Heide

Jesus Christ Superstar, Teatro Sistina, Roma 2018. Photo Margot De Heide

MUSICA E INTERPRETI

Pur essendo in diversi momenti funzionale alla narrazione, la musica non passa mai in secondo piano, anche nei recitativi che vanno dal piano tenorile di Ted Neeley a quello di basso del personaggio Caifa. L’ensemble orchestrale è abbastanza variegato e si compone di tastiere, trombe, percussioni, chitarre e chitarre elettriche. Tra i solisti spiccano, oltre a Neeley per potenza vocale e presenza scenica, Nick Maia (Giuda) per uno spiccato spirito rock brasiliano e Simona Distefano per pulizia tecnica e vocale. Simpatica e fuori dagli schemi la performance di Salvador Axel Torrisi (Erode), con notevole gradimento da parte del pubblico in sala. Sebbene scenicamente siamo nel pieno degli Anni Settanta, il discorso simbolico si estende a tutte le epoche e il messaggio diventa universale. Per aiutare lo spettatore a identificarsi con la narrazione vengono proiettate sullo sfondo del ledwall immagini e frasi tratte dai Vangeli, che contestualizzano di volta in volta momenti e situazioni. Sul palcoscenico rivive la realtà, attraverso il mito, i giochi di potere, l’ironia, il confronto attualissimo tra il popolo e chi lo governa. Un meccanismo assai complesso che ci vede allo stesso tempo creatori e carnefici dei nostri stessi messia.

Jesus Christ Superstar, Teatro Sistina, Roma 2018. Photo Margot De Heide

Jesus Christ Superstar, Teatro Sistina, Roma 2018. Photo Margot De Heide

I RIMANDI AL PRESENTE

Una carrellata di immagini ci riporta traumaticamente alla nostra storia più recente. Mentre Pilato conta trentanove schiocchi di frusta, sul led di fondo appaiono i campi di concentramento di Auschwitz, Martin Luther King, Gandhi, bambini denutriti e altre barbarie figlie del nostro tempo. Forti delle contraddizioni di Giuda, ci sentiamo anche noi complici del suo tradimento e riflettiamo ancora una volta sulla straordinaria figura di quest’Uomo che, morendo, ha compiuto il proprio ruolo nel mondo. Era veramente il figlio di Dio ma noi non lo abbiamo creduto. Ormai tutto è compiuto. Scavalcando la quarta parete, però, Gesù riappare in sala, attraversando il teatro e la platea, rinnovando il suo messaggio di perdono, amore e spiritualità. Una scelta registica innovativa e coinvolgente, sicuramente attualizzante. Uno spettacolo davvero degno di nota, una grande opera musicale ancora piena di grinta e determinazione assolutamente da non perdere.

Michele Luca Nero

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Michele Luca Nero

Michele Luca Nero

Michele Luca Nero (Agnone, 1979), figlio d’arte, inizia a dipingere all’età di sei anni. Una passione ereditata dal padre, Francesco, insieme a quella teatrale acquisita dal nonno, Valentino, poeta e drammaturgo riconosciuto a livello internazionale. In pochi anni ha curato…

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