“I colori del tempo”: il film di Cédric Klapisch dipinge Parigi tra memoria e modernità

Muovendosi tra impressionismo e digitale, Klapisch racconta il progresso e il cambiamento dalla Belle Époque ai giorni nostri. Qui una clip dal film

Cédric Klapisch, regista amato per il suo sguardo umano e ironico sul presente, torna con I colori del tempo, dal 13 novembre 2025 al cinema con Teodora Film. È il suo primo film in selezione ufficiale al Festival di Cannes, è in patria già un successo di pubblico. Un’opera che attraversa le epoche, unendo la Parigi della Belle Époque a quella di oggi, riflettendo sul modo in cui le immagini – fotografiche, pittoriche, digitali – costruiscono la nostra memoria collettiva.

Un film a cavallo tra Ottocento e Novecento

Il punto di partenza è una misteriosa eredità: in una Francia contemporanea sempre più standardizzata, un gruppo di sconosciuti viene convocato per discutere del lascito di Adèle Meunier, una donna vissuta a cavallo tra Ottocento e Novecento. Frugando tra vecchie fotografie, lettere e dipinti, i discendenti ricompongono la storia di un’antenata intraprendente, immersa nel cuore pulsante dell’Impressionismo. È così che Klapisch orchestra un doppio racconto: la vita di Adèle e quella dei suoi eredi, legati da un’unica domanda – come rappresentare il reale, ieri come oggi?

Un film in cui dialogano pittura e digitale

Cédric Klapisch confessa di aver coltivato da sempre il sogno di girare un film in costume. “Sono ossessionato da Parigi prima del 1900”, racconta, “perché allora è stato inventato tutto: la fotografia, la modernità, l’idea stessa di città”. L’estetica dell’epoca, influenzata da Eugène Atget, Nadar e Gustave Le Gray, si fonde con quella contemporanea, restituendo un dialogo visivo tra pittura e digitale. Per ricreare la luce dell’autocromia – le prime fotografie a colori dei fratelli Lumière – Klapisch e il direttore della fotografia Alexis Kavyrchine hanno lavorato due anni sul contrasto tra la grana calda di un mondo in costruzione e la nitidezza clinica dell’immagine digitale.

Cuore de “I colori del tempo” è il progresso

Non stupisce che I colori del tempo sia anche un film sulla percezione del progresso. Se nel 1895 l’elettricità era la promessa del futuro, oggi la modernità è dominata da smartphone e social network. Klapisch mostra con ironia e malinconia come la società, nel rincorrere la tecnologia, rischi di smarrire il senso del tempo e della meraviglia. In una sequenza d’apertura memorabile, i visitatori del Musée de l’Orangerie si fanno selfie davanti alle Ninfee di Monet: il capolavoro impressionista diventa sfondo per un autoritratto digitale, immagine che annulla la distanza tra arte e consumo.

I colori del tempo © STUDIOCANAL - CE QUI ME MEUT - Emmanuelle Jacobson-Roques
I colori del tempo © STUDIOCANAL – CE QUI ME MEUT – Emmanuelle Jacobson-Roques

Un grande omaggio a Monet, Degas, Morisot e molti altri

L’omaggio ai maestri dell’Impressionismo è costante. Monet, Degas, Morisot, Caillebotte: la luce, i riflessi, i colori si fanno strumenti narrativi. “Monet è il vero inventore di un nuovo rapporto con il colore”, dice Klapisch, che al pittore di Impression, soleil levant deve l’ispirazione per la scena alla Gare Saint-Lazare, girata esattamente nel punto in cui l’artista aveva posato il cavalletto. Come sempre nel suo cinema, la coralità è un valore: la famiglia, l’eredità, la trasmissione di ciò che resta. Ma qui il discorso si fa più profondo. I colori del tempo racconta la continuità tra ciò che siamo e ciò che ricordiamo, tra la città visibile e quella immaginata. È un film che interroga la nostra idea di modernità, chiedendosi se davvero il progresso abbia mantenuto le sue promesse.

I colori del tempo © STUDIOCANAL - CE QUI ME MEUT - Emmanuelle Jacobson-Roques
I colori del tempo © STUDIOCANAL – CE QUI ME MEUT – Emmanuelle Jacobson-Roques

Parigi, la vera protagonista del film di Klapisch

Nel flusso di immagini che scorrono tra passato e presente, Parigi emerge come protagonista assoluta: luminosa, contraddittoria, sempre pronta a reinventarsi. Come nei quadri di Monet, tutto vibra – la luce, i volti, i sentimenti. E in quella oscillazione tra nostalgia e stupore, Klapisch ci invita a guardare non solo la storia della città, ma anche la nostra: fatta di colori, di tempo e di sguardi che continuano a cercarsi, attraverso i secoli, nella stessa inafferrabile luce.

Margherita Bordino

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Margherita Bordino

Margherita Bordino

Classe 1989. Calabrese trapiantata a Roma, prima per il giornalismo d’inchiesta e poi per la settima arte. Vive per scrivere e scrive per vivere, se possibile di cinema o politica. Con la valigia in mano tutto l’anno, quasi sempre in…

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