Alla Festa del Cinema di Roma il documentario sul musicista Willie Peyote tra ironia e vulnerabilità

Un ritratto intimo e disincantato dell’artista torinese firmato da Enrico Bisi: tra ironia, appartenenza e la difficile arte di restare sé stessi. Qui la nostra breve intervista video

C’è un filo grigio e lucido, come il Po d’inverno, che attraversa Willie Peyote: Elegia Sabauda di Enrico Bisi, prossimamente in sala con Wanted. È il tono di chi osserva senza compiacimento, con quel pudore tipicamente torinese che non ha bisogno di enfasi per essere sincero. In questo documentario – prodotto da Base Zero e Wanted Cinema, e presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma – Willie Peyote si racconta a volto scoperto, o meglio, senza la necessità di nascondersi dietro la maschera dell’artista. È un ritratto umano, ironico, a tratti persino vulnerabile, che mette in scena la tensione continua tra autenticità e spettacolo, tra la necessità di restare sé stessi e la consapevolezza che, in fondo, anche la coerenza può diventare una posa.

“Elegia Sabauda”: un ritratto inedito di Willie Peyote

Bisi segue Guglielmo Bruno – questo il suo nome all’anagrafe – tra un concerto, un’intervista, una pausa al bar sotto casa. Torino non è mai solo uno sfondo: è una presenza silenziosa, quasi un personaggio secondario, che tiene insieme la malinconia e la lucidità del racconto. Nella città sabauda, dove il sarcasmo è una forma di sopravvivenza e l’ironia una difesa, Peyote incarna una generazione che ha imparato a convivere con il dubbio. Il suo “nichilismo torinese e disoccupato”, come ama definirsi, è una filosofia di resistenza alla retorica: una forma di leggerezza pensante che si fa musica, parola, gesto politico.

La storia musicale di Willie Peyote

Elegia Sabauda attraversa più di dieci anni di carriera – dai primi album indipendenti alla ribalta di Sanremo 2025 – ma non è una cronaca lineare. Piuttosto, è un viaggio a ritroso nella mente di un autore che continua a interrogarsi sul senso del proprio ruolo. Tra materiali d’archivio e momenti di quotidiana intimità, Bisi costruisce un mosaico di sfumature: il musicista che gioca con i generi, il cantautore che osserva la realtà con la freddezza di un sociologo e la fragilità di chi ne è parte.

La regia di Enrico Bisi nel documentario che racconta anche Torino

Lo sguardo del regista è affettuoso ma non indulgente. C’è misura nella regia, asciuttezza nei toni, una fotografia che restituisce la densità della città e dei suoi silenzi. L’elegia, nel titolo, non è nostalgia, ma consapevolezza: quella di un artista che si muove in bilico tra due tempi – il prima e il dopo, la piazza e la stanza, l’io e la folla. E Bisi, che già conNumero Zero aveva raccontato le origini del rap italiano, qui firma un’opera di maturità, in cui la musica è soltanto il pretesto per indagare un’identità collettiva.
Ciò che resta, dopo la visione, non è tanto la parabola di Willie Peyote, quanto la sua postura nel mondo: quella di chi non smette di osservare, di ironizzare, di dubitare. In un panorama musicale sempre più saturo di autocelebrazioni, Elegia Sabauda sceglie il contrario: la sottrazione, la misura, il dubbio come forma di onestà.
E forse è proprio in questo disincanto – lucido, sabaudo, autentico – che si nasconde la sua eleganza più vera.

Margherita Bordino

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Margherita Bordino

Margherita Bordino

Classe 1989. Calabrese trapiantata a Roma, prima per il giornalismo d’inchiesta e poi per la settima arte. Vive per scrivere e scrive per vivere, se possibile di cinema o politica. Con la valigia in mano tutto l’anno, quasi sempre in…

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