Alla Berlinale 2024 “Shikun”, film anti-totalitario del regista israeliano Amos Gitai

Regista noto per le sue posizioni critiche nei confronti del governo israeliano, Amos Gitai porta a Berlino un film ispirato al teatro dell’assurdo di Ionesco

Uno spaccato della società israeliana si riunisce in un complesso residenziale nel deserto – a Be’er Sheva, l’edificio più lungo del Medio Oriente con un corridoio esterno lungo 250 metri -, lo Shikun. Persone di lingue (si parla arabo, yiddish, palestinese e ucraino), origini e generazioni diverse si incontrano (alcune neanche si vedono!) in una struttura scenica ampia e teatrale. E se ci sono alcuni personaggi che si trasformano in rinoceronti, altri si oppongono alla resistenza. Shikun in ebraico, “case popolari”, è il titolo internazionale del nuovo film di Amos Gitai, presentato alla 74esima Berlinale. “La parola deriva da un verbo che significa riparare, dare rifugio. E il film offre riparo a persone che, per motivi diversi, hanno bisogno di un rifugio dalla minaccia dei rinoceronti”, ha raccontato il regista. I rinoceronti a cui fa riferimento sono quelli dell’opera teatrale di Eugène Ionesco del 1959, una commedia in tre atti da cui prende linfa il film. Una delle opere più emblematiche del teatro dell’assurdo. Un testo che riflette sulla miserabilità dell’essere umano e sulla fragilità di qualsiasi ideologia.

Shikun di Amos Gitai. Una metafora del reale coreografata

Fluidità di inquadrature, unità formale, macchina da presa sempre in movimento: è così che si presenta Shikun. Il film, girato prima del massacro del 7 ottobre, ha rischiato di non uscire. Il regista ha dichiarato di aver esitato a lungo e di essersi interrogato su cosa fare. Alla fine ha però scelto di mostrare il suo lavoro al pubblico e di lasciarlo intatto. Il motivo? I rinoceronti dell’opera devono essere identificati sempre come coloro a cui opporsi e in questo momento storico rappresentano nello specifico Trump, Netanyahu, Orban, Putin e anche Hamas. Il film di Amos Gitai ha il suo perché, va però detto che non è “imperdibile”. Di certo, è coerente con il suo pensiero e la sua filmografia: ancora una volta infatti il regista israeliano si serve della metafora della casa per rappresentare l’esilio, l’appartenenza a una comunità, l’opportunismo, l’istinto del gregge e il caos dell’umanità. Questa metafora è raccontata attraverso una ritmata e mai immobile coreografia.

Shikun di Amos Gitai. Come è nato il film?

“Il film è nato in relazione a quello che era il contesto in Israele, prima del 7 ottobre”, dice Gitai. “Eravamo nel mezzo di un grande movimento di protesta contro il tentativo di Netanyahu e del suo governo di estrema destra di riformare il sistema legale con grandi manifestazioni che riunivano gruppi femministi, militari, accademici, economisti, persone che si battono per una coesistenza pacifica tra palestinesi e israeliani e un’ampia parte della società civile contro la distruzione del sistema giuridico democratico. Questo movimento è stato anche una reazione all’ascesa di una forma di conformismo, la scomparsa dello spirito critico nella società israeliana. È in questo contesto”, continua il regista, “che ho riletto la pièce Rhinoceros di Ionesco, scritta alla fine degli anni Cinquanta come una favola antitotalitaria, e che mi sembrava riecheggiare ciò che stavamo vivendo. Ho visto in essa la possibilità di ispirazione per un film sul presente che stavamo vivendo”.

Margherita Bordino

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Margherita Bordino

Margherita Bordino

Classe 1989. Calabrese trapiantata a Roma, prima per il giornalismo d’inchiesta e poi per la settima arte. Vive per scrivere e scrive per vivere, se possibile di cinema o politica. Con la valigia in mano tutto l’anno, quasi sempre in…

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