A Roma un danzatore ha portato in scena l’inimitabile unicità della natura umana
A Roma il ballerino tedesco Friedemann Vogel ha conquistato Il Teatro Nazionale con il suo intenso e viscerale “Soul Threads”, spettacolo che attraverso il confronto “danzatore-marionetta” rappresenta in maniera struggente “l’anima della danza”
Il mistero della naturalezza del ballerino viene sondato e narrato per intuizioni visive e sonore dal talento di Friedemann Vogel che, traendo spunto dal Teatro delle marionette (Über das Marionettentheater) di Heinrich von Kleist e impostando il parallelismo tra marionetta e danzatore, ripercorre un’intensa e struggente genesi della grazia in un assolo emozionante e visionario. Il coreografo e danzatore, versatile ballerino tedesco divenuto famoso come solista dello Stuttgarter Ballet, dichiara che il saggio di Kleist è “un testo rilevante per i danzatori. Sono molti i parallelismi, alla fine anche noi ballerini siamo marionette, del pubblico, del coreografo, dei direttori, dobbiamo eseguire ciò che ci chiedono con il nostro linguaggio. Però abbiamo un’anima e in Soul Threads, anzi sempre, l’anima vince! Lo dobbiamo ricordare soprattutto quando tutto si muove attraverso il digitale e l’intelligenza artificiale. Ciò che conta e rimane, quello che continuerà a cambiare la nostra società, sono l’arte, le emozioni e la fragilità umana”.

“Il teatro delle marionette” e la rilettura di Vogel al Teatro Nazionale di Roma
Se per Kleist la grazia autentica si può conseguire solo in uno stadio che precede la coscienza o viceversa in uno che la attraversa fino in fondo andando oltre essa, in quanto è la coscienza stessa a privare di naturalezza introducendo rigidità ed esitazioni, Vogel rilegge il rapporto marionetta-ballerino in una chiave simbiotica che lavora su un processo di decostruzione e frantumazione del movimento dalla cui scomposizione i fili dell’anima, come nell’impeto di una trance, muovono il corpo verso un’armonia totale e una riconquista dell’assoluta autenticità. Così, in un’esplosione finale di entusiasmo ed energia, il corpo diventa espressione dello spirito e di forze che precedono e superano l’individuo.
A Roma va in scena la conflittualità artificio-naturalezza
È una battaglia sofferta, una sfida con sé stessi il raggiungimento della grazia. Vogel apre con una staticità scultorea che desta meraviglia e incredulità per quanto il suo corpo sembri sfidare le leggi della fisica e sospendersi nel vuoto in posizioni apparentemente innaturali e inverosimili, come libere dalla forza di gravità. Una tecnica che enfatizza l’artificiosità di un corpo meccanico e inumano avvolto dal velo di un’oscurità che sommerge ogni cosa tranne il danzatore, illuminato e in primo piano. L’effetto che ne deriva è stupefacente e magnetico, onirico e poetico. La registrazione di un respiro affannato e pesante apre lo scenario a questi movimenti lenti e controllati, a questo flusso di staticità frammentata in micromovimenti. Seguono quadri in cui il dinamismo prende la scena e una lotta tra meccanicità e aspirazione al movimento puro e aggraziato crea una turbolenta dialettica del corpo.
I fili dell’anima di Friedemann Vogel al Teatro dell’Opera di Roma
Quel respiro iniziale e il battito del cuore che subentra successivamente penetrano nel corpo, infondono vita e muovono il ballerino in direzione della rivendicazione della propria libertà espressiva e della conquista di una nuova umanità, dove il pensiero non trascende la fisicità ma la abita e la anima. Ad accompagnare sulla scena Vogel, al Teatro Nazionale di Roma sono la musica dal vivo di Alissa Scetinina (Gaisma), che interpreta con straordinaria precisione e capacità evocativa la partitura emotiva e corporea dell’uomo-marionetta; l’arte digitale di Timo Kreitz e le scene e i costumi di Thomas Lempertz, che plasmano un uomo bionico e nudo, alla ricerca di sé stesso e della vera autenticità. Un’introspezione del corpo e dell’anima dai risvolti ammalianti, il miraggio di un nuovo inizio in un’epoca di alienazione e insensibilità.
Corinne Vosa
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