Acronia: l’assenza di “prime volte” nei prodotti culturali governati dalla nostalgia
Al dissolvimento del tempo corrisponde il dominio dell’immagine imposta del passato: tutto nell’oggi, cioè, deve assomigliare a ciò che di volta in volta viene scelto, tra ciò che è stato già prodotto realizzato pensato
L’Interregno (approssimativamente: 2005-2020) esaurisce e azzera progressivamente la sperimentazione che aveva caratterizzato la seconda metà degli Anni Novanta e l’inizio degli Anni Zero, ma intensifica l’azione e la pervasività della nostalgia postmoderna, vero asse portante dell’arte e della cultura, sia popolare che di élite, a partire dalla fine degli Anni Settanta.
La nostalgia nella cultura del presente
Questo rivolgere continuamente ed esclusivamente lo sguardo al passato – e per giunta a un’immagine idealizzata del passato, a una sua versione falsificata e semplificata – comporta naturalmente dei costi, in termini soprattutto di percezione del tempo, e di gestione del tempo. Dunque, l’Interregno si può condensare principalmente in un concetto: acronia.
Che cos’è l’acronia? Come funziona? Che tipo di rapporti intrattiene con la nostalgia?
Che cos’è l’acronia?
L’acronia compare quando, come è avvenuto nell’ultimo quarantennio, per quattro o cinque generazioni consecutive si coltiva lo sguardo culturale rivolto al passato. Ciò che succede è che, nel momento in cui virtualmente tutti gli oggetti artistici sono (e ad un certo punto, devono essere) fatti di un impasto di materiali provenienti da ieri, il tempo a un certo punto si dissolve.
Il tempo come presente, come flusso organico passatopresentefuturo, non c’è più. C’è solo questa oscillazione tra punti diversi di immagini e di rappresentazioni di un passato inesistente.
Nell’acronia, al dissolvimento del tempo corrisponde il dominio dell’immagine imposta del passato: tutto nell’oggi, cioè, deve assomigliare a ciò che di volta in volta viene scelto, tra ciò che è stato già prodotto realizzato pensato. È un dominio incontrastato, una sorta di autoritarismo: è il regno del “eh ma è impossibile che facciate qualcosa di meglio, in quel momento (gli Anni Sessanta, Settanta, Ottanta, ecc.) è stato fatto molto meglio, quello è il modello sempre e per sempre valido, il modello che non potrete mai superare e del quale siete destinati ad essere la copia sbiadita”.
E, attenzione, non è solo un fatto di assenza – o impossibilità – drammatica di prime volte…
Acronia e nostalgia negli Anni Novanta
Questo tempo, il tempo dell’Interregno e dell’acronia, si è virtualizzato sempre di più: si è distaccato dalla matrice originaria. Si è, dunque, separato da una possibile sequenza lineare.
La metà degli Anni Novanta rappresenta il momento storico a partire dal quale si diffonde internet come modalità di pensiero e di interpretazione della realtà: non è un caso che da lì in poi scarseggino movimenti artistici e sottoculture degni di nota. Svanisce e si estingue cioè gradualmente il mondo culturale, che è fatto di opere e autori, ma anche di un contesto fisico e comunitario, di stili che riguardano più territori in parallelo e che influenzano a loro volta scelte e comportamenti (“I wonder what happened to that boy / and the world he called his own”: The Cure, Endsong, in Songs of a Lost World, 2024). Esso viene sostituito da qualcosa di molto più impalpabile, impersonale, freddo, immateriale – e al tempo stesso confortevole.
L’esperienza culturale nel regno dell’acronia
Il pensiero culturale e l’esperienza culturale che seguono, che vengono dopo, sono come l’esperienza del mondo corrispondente: sempre più smaterializzati, disconnessi.
Ascolto i brani e gli album da un file, che è puro suono digitalizzato, tendenzialmente sganciato sia dal supporto che dal packaging (copertina, libretto, grafica, ecc.) che dalla possibilità di andare a un concerto e sentire/vedere il gruppo dal vivo, o di parlarne al limite in un negozietto di dischi con altri fissati come avviene in Alta fedeltà (1995) di Nick Hornby. Così, la mia e la nostra esperienza del tempo artistico e culturale, mentre conquista mete e orizzonti, si sgancia sempre più dagli appigli concreti che sostanziavano, prima, questa esperienza. Oggetti, souvenir, gadget, tracce, foto sviluppate… Il tempo perde materia, acquista vaghezza.
L’identità stilistica dei decenni
Fino agli Anni Novanta, infatti, possiamo visualizzare mentalmente i decenni, la loro identità stilistica (per quanto semplificata) e la loro sequenza. Anni Venti; Anni Trenta; Anni Quaranta; Anni Cinquanta; Anni Sessanta; Anni Settanta; Anni Ottanta; Anni Novanta. Poi, a partire dagli anni Zero di questo secolo (che comunque conservano una sostanza propria, per quanto sfilacciata e sfrangiata…), tutto diventa molto più sfumato, più confuso. Anche perché interviene la nostalgia della nostalgia.
Questa particolare esperienza del tempo si riflette, naturalmente, oltre che sul presente anche sul passato e sul futuro. Le dimensioni divengono indistinte, allo sguardo, generazione dopo generazione. La percezione del tempo si accavalla, si arrotola su se stessa, si appiattisce: “una completa sovrapposizione con l’adesso, presente e passato accavallati come abiti poggiati sopra un letto, in attesa di essere indossati uno sull’altro” (Isabella Santacroce).
Christian Caliandro
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