Oltre lo sguardo

Informazioni Evento

Luogo
PODBIELSKI CONTEMPORARY
Via Vincenzo Monti 12, 20123 , Milano, Italia
Date
Dal al

dal martedì al venerdì | h 14.30 – 19
Sabato su appuntamento

Vernissage
22/03/2022

ore 15

Generi
arte contemporanea, collettiva
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progetto nato dalla volontà di testimoniare come nel mondo attuale, il ventaglio di possibilità con le quali l’uomo si ritrova ad osservare la realtà, si ripropone costantemente nelle sue infinite declinazioni e sfumature, senza permettere allo sguardo di stabilire un punto d’osservazione unico, come teorizzò Bentham, nel suo Panopticon ideale.

Comunicato stampa

Martedì 22 marzo, Podbielski Contemporary è lieta di inaugurare la stagione espositiva con una nuova mostra collettiva intitolata Oltre lo sguardo, progetto nato dalla volontà di testimoniare come nel mondo attuale, il ventaglio di possibilità con le quali l’uomo si ritrova ad osservare la realtà, si ripropone costantemente nelle sue infinite declinazioni e sfumature, senza permettere allo sguardo di stabilire un punto d’osservazione unico, come teorizzò Bentham, nel suo Panopticon ideale.
In un mondo che lentamente sembra venir soppiantato dall’incedere delle pratiche visive, che non hanno più nessun rapporto con l’osservatore posto in un mondo reale, percepito secondo le leggi dell’ottica, questa mostra intende ristabilire una connessione tra l’uomo e l’ambiente, gli spazi circostanti, fino ad approdare ad uno sguardo più intimo, che si addentra nei luoghi del subconscio e dello spirituale, l’osservatore viene calato all’interno di un percorso visivo, costellato di numerose ‘soglie’, che invitano ad addentrarvisi, come un esploratore intento a vagliare le infinite variabili di un terreno ancora da scoprire.
Il saggio di Jonathan Crary, critico d’arte statunitense, è emblematico, poiché avanza una serie di considerazioni su ‘un’archeologia della visione’, che si sono rivelate veritiere: con lo scorrere del tempo, nel fenomeno visivo si sono imposte sempre di più tecniche cibernetiche ed elettromagnetiche.
Pertanto questo progetto espositivo vuole proporre un approccio di visione ‘originario’, articolato in quattro sezioni: All’interno della prima sala riemerge il percorso iniziale berlinese della galleria, che si riscontra in una selezione di fotografie improntata su tematiche dell’attuale geo-politica; si intravedono gli scatti di Massimiliano Gatti dalla serie Limes (dal latino "limite, linea di confine"): una reinterpretazione personale dello spazio che nasce da un’analisi sul concetto di soglia. Una finestra completamente de-funzionalizzata, per lui, diventa una cornice, ritorna a essere soglia nella sua composizione e delimita un’immagine all’interno dell’immagine. Il limine identifica il punto di passaggio tra il mondo interno ed esterno e ne attualizza la dialettica, ma possiede anche un significato simbolico: indica il confine tra l’interiorità e l’osservazione del mondo. Si prosegue con Ohad Matalon, che nella serie The Zone – una delle serie tra le più iconiche nel panorama della fotografia contemporanea israeliana, attraverso i suoi scorci le sue immagini intendono disegnare una mappa culturale, geopolitica e sociale dello stato d’Israele. Egli si aggira con il suo obbiettivo in cerca dei margini geografici e sociali che evidenziano l’aspetto chiaroscurale della società in cui è cresciuto. Lo stesso vale per Yuval Yairi, che in Surveyor propone una complessa mappatura spirituale di un passato vissuto come topografo coinvolto in spedizioni militari di ricognizione del territorio, in contrapposizione con la sua identità di artista. Hrarir Sarkissian, artista di origini armene e siriane presenta un’opera monumentale intitolata Churches, un giocoforza di ombra e luce che si staglia da un’impercettibile fessura all’ingresso di una chiesa di Amsterdam, investendolo di una particolare sacralità. Infine Andreas Lang propone uno scorcio evocativo, scattato durante un viaggio sulle orme del nonno militare e dell’eredità dell’ex colonia tedesca in Camerun.
Il percorso della mostra prosegue snodandosi su di un fronte più metafisico, all’interno del quale spicca la serie di osservatori proposta da Fabrizio Ceccardi e Otto Nix, luoghi di confine e allo stesso tempo vettori di apertura su realtà altre. L’osservatorio ritratto da Ceccardi, costruito nella Terra del Fuoco, osserva il mondo, ma questi nulla osserva, eppure viene osservato da coloro che lo hanno costruito. La fotografia di Nix apre ad un mondo quasi onirico per via del suo aspetto staged, un’invenzione artistica dello stesso autore.
Seguono due scatti emblematici di Silvia Camporesi molto distanti a livello temporale, ma accomunati dal concetto di soglia e di attraversamento. All’interno vi è raccolta l’impressione interiore di luoghi come il Ponte dei Sospiri di Venezia e il lungomare di Cesenatico: con una semplice campitura di colore, l’atmosfera tersa di un lungomare, Camporesi invita l’osservatore ad addentrarsi verso l’ignoto di un orizzonte infinito. Anche Jacopo Valentini nella serie Vis Montium riflette sul tema del territorio attraverso un processo di decontestualizzazione dello stesso, slegandolo dagli elementi sociologici, antropologici, storici che possano ricollegarlo a dei parametri predefiniti.
Segue una selezione dei luoghi tra i più emblematici del Myanmar di Beatrice Minda, per poi passare a una serie di scatti intriganti che ripercorrono i lasciti del colonialismo francese di Thomas Jorion e una cartolina datata nel 1966 che suona come un monito di fronte al costante rischio idrogeologico al quale sono sottoposte le Dolomiti di Marina Caneve. Infine le numerose declinazioni di approccio dello sguardo si soffermano nelle aree più remote dell’animo umano, dallo scatto poetico di Giulia Agostini, che coglie una giovane voltata di spalle, intenta a sporgersi per guardare l’infinito da una staccionata, all’autoritratto più introspettivo di Gail Albert Halaban che con sguardo rivolto verso l’esterno, indugia sulla vita notturna della sua città, New York; vi è la ricerca intrisa di intimismo di Francesca Todde, che ritrae le sottili sfumature di un silenzioso dialogo tra un allevatore di uccelli da circo e la sua cicogna, e gli scatti senza tempo di Augusto Cantamessa, che immortala lo stupore e la purezza negli occhi di un bambino, intento a guardare una scultura lignea della Vergine, o quello di una badessa con lo sguardo rivolto verso l’immensità del mare. Per concludere un omaggio viene dedicato a Ferdinando Scianna, che con il suo occhio indagatore, sembra evadere l’intangibilità della scultura ritratta, ovvero l’Ermafrodite del Louvre, che sembra tornare a vivere di un’aura propria. Non da meno è la ricerca di Michael Von Graffenried, Naked in Paradise, che ritrae la vita quotidiana in un campo nudista svizzero a Thielle che non aveva mai aperto le sue porte ad alcun fotografo esterno. Nella foto, si scorgono due giovani che giacciono nudi su di un pontile tra le frasche, che sembrano delimitare la soglia verso un’altra dimensione. Questi piccoli spaccati di mondi apparentemente così lontani e incomunicabili, sono stati oggetto di ricerca anche per Noga Shtainer, che nella serie Wagenburg si sofferma in aree remote di Berlino dedicate a parcheggi per roulotte, animate da persone che per motivi ideologici hanno scelto di vivere li: continuare a vivere nel cuore della città, conducendo una vita semplice, ai margini del conformismo di una società. Nella fotografia una ragazza indugia con lo sguardo sognante fuori dalla finestra della sua roulotte. Benyamin Reich invece ritrae due fratelli mentre si stringono la mano: l’effetto sfumato della foto sembra quasi suggerire l’incertezza di un futuro prossimo che si staglia di fronte ai due giovani, invitando l’osservatore a riflettere sulla connivenza di culture diverse, temi particolarmente cari per Reich; fa da eco lo scatto di Giulio di Sturco, con due giovani su una spiaggia a Patna, lungo il fiume Gange.
A concludere il percorso espositivo si intravede una scala appoggiata su un muro, probabilmente un’area di scavo archeologico, che sembra suggerire l’accesso a un mondo che non ci è dato conoscere. Lo scatto di Giulia Parlato non lascia spazio ad interpretazioni certe, ma rimane sicuramente affascinante la particolare atmosfera onirica, un luogo atemporale, che caratterizza la serie Diachronicles.