A Firenze arriva un concerto di Capodanno stile Anni ’70 con Marianne Mirage. L’intervista
Si muove sul palco e canta con un’energia rara, un carisma che richiama figure mitiche e una femminilità che passa attraverso la voce, il corpo e il modo in cui usa le parole. In Marianne Mirage passato e presente si tengono per mano e questa fusione le dà un’aura che la rende una sorta di […]
Si muove sul palco e canta con un’energia rara, un carisma che richiama figure mitiche e una femminilità che passa attraverso la voce, il corpo e il modo in cui usa le parole. In Marianne Mirage passato e presente si tengono per mano e questa fusione le dà un’aura che la rende una sorta di “dea contemporanea”. Sperimenta, mescola linguaggi e cambia direzione quando lo chiede il tempo. La sua estetica ha un tratto nostalgico, dolce ma inquieto, un’intensità non convenzionale che contribuisce a distinguerla nel panorama musicale.
Lo stile della cantante Marianne Mirage e il Capodanno fiorentino
Cantautrice e performer con una formazione ampia – dal Centro Sperimentale alle esperienze internazionali, fino alle collaborazioni con Patti Smith e Paolo Genovese – Mirage ha costruito un percorso che unisce musica, cinema, teatro e danza. Questa pluralità è evidente nel nuovo disco, Teatro, il suo lavoro più intimo, dove sonorità rétro dialogano con tensioni contemporanee e i testi combinano riferimenti culturali, vissuto personale e una spiritualità concreta. Prima del tour, sarà protagonista del Capodanno fiorentino al W Florence Hotel con Metti una sera a cena, un live show ispirato al glamour degli Anni Settanta in Italia, tra cinema, musica dal vivo e un omaggio a Ornella Vanoni; a seguire, un disco party con il DJ set di Marquis.

L’intervista alla cantante Marianne Mirage
Per il Capodanno fiorentino si esibirà in un live show ispirato agli Anni Settanta tra cinema, musica e un omaggio a Vanoni. Cosa la affascina di quell’immaginario e cosa porterà sul palco?
Mi attrae l’immediatezza che si portano addosso: la musica suonata, le luci calde, un’estetica teatrale che oggi manca. A Firenze ci saranno atmosfere d’epoca e brani simbolo di quel modo di stare sul palco. Sarò con la band che mi segue in Teatro: abbiamo creato un suono legato agli Anni Sessanta e Settanta e proporremo pezzi amatissimi, da Ornella a Mina, fino a James Brown. Vorrei riportare il pubblico a ballare, in un’energia accesa che disconnette dal mondo e le sue pressioni, in libertà, proprio come facevamo un tempo. Ne abbiamo voglia, e bisogno.
Quando ha cantato “Chiudi gli occhi” davanti a Ornella Vanoni è stato un momento forte: che ricordo conserva?
Di un’enorme emozione. Finisco il brano e Ornella mi dice che avrebbe voluto cantarlo lei: rimango senza parole. Sentirsi riconosciuti da una donna così, guardandola negli occhi, è un dono, la conferma che di certo non ti aspetti, ma quando arriva ti riporta al senso del tuo lavoro. Come fosse la magia che chiude il cerchio.
Anche Patti Smith e Patty Pravo fanno parte del suo pantheon femminile. Cos’ha ereditato da loro?
Aggiungo Piaf, che sento parte del mio immaginario. Da loro imparo l’uso della voce come accesso a un’altra dimensione emotiva. Da Mina prendo la capacità di trasformare la presenza in teatro; dalla Carrà l’idea che anche la paura possa diventare racconto, come accade in Rumore. Tutte mi insegnano che un’interprete non “canta e basta”: porta una storia, una visione. Provo anch’io a seguire la stessa direzione.

La musica di Marianne Mirage
La sua musica nasce da mondi interiori complessi: c’è un momento che ha cambiato il suo modo di scrivere?
Sì. Dopo The Place vengo invitata a suonare in terapia intensiva pediatrica. Entro con una canzone un po’ triste e quei bambini, pieni di forza, vogliono ballare. Capisco che la musica può trasformare anche il dolore e che la tristezza, da sola, non serve a niente. Da quel giorno il mio modo di scrivere è cambiato.
Porterà “Teatro” nei club, l’anno che verrà. Qual è la libertà più grande che le ha dato questo disco?
Il permesso di non controllare tutto. Accoglie i respiri, le sbavature, la fragilità. Nei teatri c’erano momenti di silenzio, di chitarra e voce. Nei club la dimensione diventerà molto fisica, la presenza si farà intensa, la voce sarà più diretta. Chiamiamola una sorta di evoluzione naturale.
Nel nuovo album parla di poesia e verità. Tra queste verità ci sono anche le imperfezioni: cosa conserva, più del resto?
L’idea che non devo sempre sistemare tutto. La bellezza sta comoda nella sincerità, non nella perfezione. Del resto la voce è un corpo, e non devo, non voglio cancellarne le tracce.
La sua voce “leggera e libera” segue questo camminare…
Segue ciò che sento, senza “fermare” la voce né forzarla in una forma fissa. Cambia con me, e io la lascio andare. Quando accade, mi riconosco davvero.
Con tanti riferimenti femminili del passato, cosa significa per lei la femminilità, oggi?
Consapevolezza: un modo di stare nel corpo senza l’idea di appartenenza. Lo yoga mi ha aiutata a sentirmi bene e a ritrovare equilibrio. Sul palco diventa tutto molto naturale, un modo schietto di creare vita insieme al pubblico.
Nel suo lavoro, e nei live, il corpo ha infatti un ruolo essenziale. In “Mirage” mette insieme musica, meditazione e pratiche olistiche. In che modo ha influenzato la sua espressività?
Lo yoga mi ha insegnato ad accogliere il mio corpo e a sciogliere molte insicurezze, fino a trasformare ogni gesto in linguaggio. La meditazione, che pratico ogni giorno, mi dà chiarezza e alleggerisce la paura, permettendo al corpo di muoversi in modo autentico. Questa dimensione interiore entra naturalmente nella musica: dà stabilità ai live, sostiene la voce, rende più limpida la scrittura e mi aiuta a restare centrata. È il punto in cui i miei mondi si incontrano.
Sempre “con il cuore aperto e senza pudore”…
Non c’è altro modo. Se mi proteggo troppo, la musica “mette il cappotto” della tecnica. L’esposizione è una scelta di verità lontana dalla richiesta d’attenzione.
In “Baci” canta “il mio futuro mi sorride”. Come lo immagina?
Più gentile. Quest’anno è stato complesso e vorrei un 2026 che non chieda solo resistenza. Desidero più cura per il mondo e per le fatiche invisibili. Mi aspetto un anno, diciamo, dolce.
E la felicità, che forma ha?
Somiglia alla meditazione, sta in uno spazio sospeso tra un pensiero e l’altro. Non la vivo come un traguardo da raggiungere. Oggi scelgo la serenità, che per me è molto più stabile e autentica.
Ginevra Barbetti
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