“La divina di Francia”: al cinema un film-viaggio nella storia di Sarah Bernhardt
Guillaume Nicloux rilegge la “voce d’oro” della Belle Époque in un film che rinuncia al biopic per inseguire l’anima inquieta di una donna troppo viva per la sua epoca. Al cinema dal 6 novembre. Qui una clip in anteprima
C’è un momento, nel film di Guillaume Nicloux, in cui Sarah Bernhardt (una magnetica Sandrine Kiberlain) fissa lo spettatore e sembra dire: “Non voglio essere ricordata, voglio essere vissuta”. È lì che La divina di Francia – Sarah Bernhardt trova il suo respiro più autentico, quello di un ritratto che si concede al sogno, alla vertigine del mito, e non alla cronaca. In uscita nelle sale italiane il 6 novembre con Wanted Cinema, il film si avvicina alla leggenda della “voce d’oro” senza la pretesa di raccontarla tutta, ma scegliendo di inseguirne l’essenza – quel battito di libertà e dismisura che ha fatto di Sarah Bernhardt la prima vera star internazionale, icona della Belle Époque e simbolo di una femminilità che non chiede permesso.
Guillaume Nicloux e la grande libertà artistica
Guillaume Nicloux, cineasta da sempre attratto dalle zone d’ombra dell’anima, costruisce un racconto ellittico, sospeso tra il reale e l’immaginato. Con la sceneggiatrice Nathalie Leuthreau sceglie due momenti quasi fantasmatici – il giubileo e l’amputazione della gamba – per scavare nella materia viva di un’esistenza che è stata insieme arte e ferita, potenza e abisso. “Il cinema non ha l’obbligo di essere autentico”, dice il regista, e in questa libertà trova la chiave del suo film: non un biopic, ma un sogno lucido, un viaggio empatico dentro la febbre di una donna che ha vissuto come si recita, e recitato come si ama.

Sandrine Kiberlain è protagonista di un film di resistenza
Sandrine Kiberlain la incarna con grazia spigolosa, fragile e indomita, attraversando la malattia e la passione per Lucien Guitry (Laurent Lafitte) come due facce della stessa fame di vita. Accanto alla fama, le ombre: la sofferenza fisica, la solitudine, il corpo mutilato che diventa simbolo di un’arte totale, vissuta fino allo spasimo. Ma La divina di Francia non è un film di dolore: è un film di resistenza, di bellezza che sopravvive alle rovine del corpo. Dietro il sipario, Nicloux filma la Bernhardt come un corpo celeste che si consuma nella propria luce. La sua ribellione è estetica e politica: donna che interpreta ruoli maschili, che dirige il proprio teatro, che rifiuta di piegarsi al controllo patriarcale, Sarah Bernhardt incarna un’idea di libertà ancora bruciante. Non è un caso che il film arrivi nella stessa stagione in cui la sua eterna rivale, Eleonora Duse, torna sullo schermo: due destini speculari, due modi diversi di incarnare l’assoluto.

Sarah Bernhardt attraverso uno sguardo intimo e privato
Con uno sguardo intimo e privo di retorica, Nicloux restituisce la “Divina” non come monumento, ma come donna contemporanea: eccessiva, vulnerabile, appassionata, troppo. “Troppo amorevole, troppo violenta, troppo giusta e ingiusta”, come dice il regista. In questo “troppo” risiede la sua modernità, la sua sfrontata attualità.La divina di Francia – Sarah Bernhardt è, in fondo, una dichiarazione d’amore al potere visionario delle donne che non hanno voluto essere domate. E nel suo sguardo si riflette quello di un’epoca che ancora cerca di comprendere il prezzo della libertà. Come in teatro, l’ultima battuta è un respiro: la diva non muore, semplicemente si allontana, lasciando che il mito continui a parlarci.
Margherita Bordino
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