Stardust. L’architettura diventa una storia d’amore nel film di Jim Venturi
Presentato alla Festa del Cinema di Roma, il documentario celebra Robert Venturi e Denise Scott Brown, la coppia che ha rivoluzionato l'architettura contemporanea
Autori della Sainsbury Wing della National Gallery e di testi come Complexity and Contradiction in Architecture e Learning from Las Vegas, Robert Venturi e Denise Scott Brown sfidarono il Modernismo guardando anche ciò che l’élite considerava volgare: insegne al neon, centri commerciali, periferie. A loro è dedicato il documentario che il figlio della coppia, Jim Venturi, ha presentato alla Festa del Cinema di Roma (16-17 ottobre). Stardust è un ritorno significativo: Robert, figlio di immigrati italiani con radici in Abruzzo e Puglia, studiò a Roma negli Anni Cinquanta grazie al Rome Prize, ma non riuscì mai a costruire in Italia. Un rimpianto che lo ha accompagnato per tutta la vita.
Il film Stardust sugli architetti Robert Venturi e Denise Scott Brown
Diretto da Jim Venturi e scritto e montato da Anita Naughton, Stardust è una lettera d’amore e un manifesto: racconta la vita di due outsider che hanno scelto di guardare ciò che tutti davano per scontato, intrecciando materiali d’archivio e riprese di vita quotidiana raccolte in oltre dieci anni di lavoro. Abbiamo intervistato il regista, a Roma alla presentazione del film.

L’intervista a Jim Venturi sul film Stardust
Quando ha capito che “Stardust” stava diventando qualcosa di più grande di una semplice storia di famiglia?
Non volevo che fosse una storia di famiglia. Il mio obiettivo era catturare i miei genitori mentre erano ancora vivi e attivi, per le generazioni future. Ho coinvolto una scrittrice straordinaria, Anita Naughton, che l’ha trasformato in una storia d’amore: si è innamorata dei miei genitori come personaggi e voleva che il pubblico li vedesse così. Io ero partito dalle idee, lei ha creato un ritratto intimo, una storia d’amore e architettura.
Nel film, sua madre descrive Las Vegas come “comunicazione senza architettura”. Il loro lavoro era, in un certo senso, una ribellione mascherata da design?
Penso ci fosse un elemento ribelle, ma lo scopo della ribellione era fare architettura migliore. La professione era diventata dogmatica e la logica del Modernismo si era cristallizzata in un pensiero ormai superato. Las Vegas era una ricerca di comprensione dell’ambiente urbano americano e Los Angeles era una versione più grande di Las Vegas. Non hanno mai progettato architettura in stile Las Vegas, ma l’hanno usata come lente per capire di più sull’architettura in generale, allo stesso modo in cui hanno usato l’architettura italiana.
L’eredità di Robert Venturi e Denise Scott Brown
Nel centenario della nascita di suo padre, cosa resta dell’eredità di Robert Venturi e Denise Scott Brown: non solo nell’architettura, ma nel modo in cui vediamo il mondo?
Ci sono molti studiosi di architettura che continuano a trovarli rilevanti. Per me, si tratta di comprendere la natura delle epoche e la necessità di un pensiero trasformativo per affrontare le sfide dell’era presente. Questo richiede di aprire la mente a possibilità che potrebbero essere facilmente respinte, come imparare da un luogo come Las Vegas negli anni Sessanta.
Se potesse scegliere un ricordo che racconti il suo legame con Robert Venturi?
Mio padre diceva spesso che l’architettura è il mezzo più fragile. Era tipico di Bob. L’architettura potrebbe non sembrare affatto fragile, ma il suo punto era che a nessuno verrebbe mai in mente di distruggere un dipinto o gli spartiti di una sinfonia, ma l’architettura per sua natura deve adattarsi nel tempo ed è vulnerabile al gusto delle generazioni future. E una volta che questi edifici vengono distrutti o ristrutturati senza sensibilità, raramente, se mai, vengono restaurati.
Cosa vorrebbe che il pubblico portasse via da“Stardust”?
Vorrei che il pubblico lo vivesse più come un film di finzione che come un documentario da cui imparare. Che intraprendesse un viaggio con questi due personaggi brillanti, eccentrici e spiritosi e che, per un momento, vedesse la vita attraverso i loro occhi.
Alessia de Antoniis
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