La fotografia surrealista di Lee Miller in una grande mostra a Torino
Dall’erotismo onirico alle atrocità della guerra: lo sguardo ironico e analitico di Lee Miller plasma la scena artistica del XX Secolo, e va in mostra negli spazi di CAMERA a Torino
Con la grande retrospettiva Lee Miller. Opere 1930-1955, CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino – inaugura la stagione autunnale e celebra i suoi dieci anni di attività. A cura di Walter Guadagnini, la mostra riunisce oltre 160 fotografie provenienti dai Lee Miller Archives, offrendo un percorso che restituisce la complessità di una figura centrale del Novecento: modella, artista surrealista, fotoreporter di guerra. La mostra rimarrà aperta al pubblico fino al 1° febbraio 2026.
Lee Miller: il corpo come oggetto di ricerca surrealista
La mostra si apre con una serie di ritratti e autoritratti che introducono la doppia natura di Lee Miller (Poughkeepsie, 1907 – Chiddingly, 1977): soggetto e oggetto del proprio sguardo. Nel celebre ritratto di Roland Penrose, accanto al calco del suo busto, il corpo diventa superficie di indagine e riflessione sull’identità, in linea con l’immaginario surrealista che attraversa tutto il suo lavoro.
Nelle fotografie parigine, come Tanja Ramm sotto una campana di vetro, emerge un linguaggio onirico e ambiguo, dove l’oggetto quotidiano si trasforma in simbolo e il corpo diventa figura enigmatica. Per Miller il surrealismo non è uno stile, ma un metodo per interrogare la realtà e le sue zone oscure.
La solarizzazione, sviluppata insieme a Man Ray, testimonia la sua sperimentazione sia formale sia concettuale: ribaltando i ruoli di luce e ombra, Miller trasforma la fotografia in campo di esplorazione dell’invisibile e dell’ambiguo.

L’assurda verità della guerra nelle foto di Lee Miller
A Londra durante il Blitz, Lee Miller applica il suo sguardo surrealista alla realtà della guerra, ormai percepita attraverso l’esperienza e la formazione artistica. Nelle sale di CAMERA spicca il celebre scatto del Pianoforte Broadwood tra le macerie, simbolo di cultura e bellezza schiacciato dalla forza brutale e assurda del conflitto. In altre immagini, oggetti quotidiani come una macchina da scrivere Remington diventano testimonianze silenziose della distruzione, icone di una normalità spezzata.
Ma la mostra evidenzia anche la capacità di Miller di cogliere la resilienza della vita. La fotografia di Mademoiselle Poignet seduta nella caffetteria, tra vetri crivellati dai proiettili, restituisce l’assurdità della guerra e insieme la persistenza della quotidianità. Come osserva il direttore Walter Guadagnini, la fotografia della cantante d’opera al centro di uno spazio distrutto “non vuole solo documentare la violenza, ma mostrare la capacità della cultura di sopravvivere e restituire senso”. In questo equilibrio tra devastazione e vita, gli scatti di Miller mostrano come la guerra sia al contempo assurda e reale, e come l’artista, con il suo linguaggio ormai consolidato, sappia renderne visibile la contraddizione profonda.
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La morte nel teatro della vita
Per Lee Miller la morte non è mai un tabù, ma una presenza costante nel teatro della vita. La mostra torinese ne sottolinea la lucidità e la distanza emotiva, evitando ogni retorica. Nelle sale finali, le fotografie scattate nei campi di concentramento si affiancano a quelle degli ufficiali dei nazisti suicidi, componendo un racconto in cui l’orrore e l’assurdo coincidono.
Tra queste, la celebre immagine della famiglia del vicesindaco Lisso colpisce per la sua costruzione quasi teatrale: i corpi disposti con cura, l’appartamento intatto, il ritratto di Hitler appoggiato sullo sfondo. L’ordine domestico si trasforma in una scena di follia, in cui la quotidianità è travolta dall’assurdità della Storia.
Come osserva il curatore Walter Guadagnini, “Miller non cerca mai l’enfasi o il pathos. Nelle sue immagini la morte appare come il punto estremo in cui l’assurdo si manifesta, specchio rovesciato della vita stessa”.
In questo equilibrio tra compostezza e orrore, la mostra rivela come lo sguardo di Miller rimanga sempre lucido, capace di restituire alla realtà la sua inquietante verità.
Valeria Radkevych
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