Nuove assunzioni al Ministero della Cultura. È tutto oro ciò che luccica?
Al di là del facile entusiasmo, la notizia delle nuove assunzioni da parte del Ministero della Cultura richiede una seria riflessione sulle conseguenze che potrebbe avere in termini di distorsioni del mercato...
Ha ottenuto una vasta gamma di consensi la notizia di nuove assunzioni da parte del Ministero della Cultura. Consensi che, per quanto comprensibili, vanno tuttavia inseriti in una logica di scenario più ampia. Partiamo dalla notizia.
Nuove assunzioni da parte del Ministero della Cultura: la notizia
Come indicato dal comunicato stampa pubblicato su Linkedin, il Ministero della Cultura, con l’obiettivo di garantire una gestione sempre più efficace del patrimonio culturale italiano, attiverà 2.700 assunzioni entro la fine dell’anno.
Più nel dettaglio, entro la fine del 2025 è previsto l’ampliamento dell’organico con 550 nuove unità, di cui 300 assistenti e 250 funzionari.
A queste si aggiungerà un nuovo importante piano di rafforzamento del personale: 2.200 ulteriori unità a tempo indeterminato per cui è prevista la pubblicazione del bando di concorso entro l’autunno e che prevede 1.800 assistenti, di cui 1.500 per attività di vigilanza e 300 per profili tecnici; 400 funzionari di cui 300 bibliotecari e 100 architetti.
Due elementi da approfondire nell’ambito delle nuove assunzioni
Ferma restando la piena condivisibilità di un incremento dell’organico del Ministero, questa notizia pone due elementi che meritano un approfondimento.
Tipologia di soggetti e di mansioni
Il primo è legato alla tipologia di soggetti che verranno assunti, la cui maggioranza assoluta è, come detto, destinata a svolgere attività di vigilanza. Una mansione che come noto è ben poco stimolante, non sempre offre opportunità di carriera, e che non richiede importanti conoscenze o competenze.
Una mansione di cui non si discute l’importanza, ma che probabilmente potrebbe essere utile sviluppare attraverso soggetti privati, non solo per una più efficace distribuzione della spesa pubblica, ma anche perché attraverso l’applicazione di contratti privati si renderebbe senza dubbio più semplice sviluppare dei processi innovativi che consentano di evolvere questa figura.
Il clamore della notizia
L’altro dato da tenere in considerazione è invece l’entusiasmo che questa notizia ha riscosso: sia sui social che offline, la notizia è stata accolta con grande favore, e questo perché il Ministero, e in generale il Settore Pubblico, è considerato un datore di lavoro sicuro, condizione non certo trascurabile in un mercato del lavoro in cui sono molto diffusi i lavoratori precari, sia essi tradizionali che contemporanei (partita IVA, ecc.).
Il rischio di una distorsione del mercato provocata dalle nuove assunzioni
Insieme, queste due condizioni porteranno inevitabilmente ad una potenziale distorsione del mercato: così come accaduto in varie occasioni negli ultimi decenni, la possibilità che al bando di concorso decidano di partecipare persone over-educated per la mansione richiesta è alta.
Una condizione tutt’altro che desiderabile dal punto di vista sistemico.
Il caso esemplificativo
Proviamo a fare un esempio. Immaginiamo che ci sia una persona che, dopo anni di università e magari un dottorato, vive una condizione lavorativa precaria che, pur potendo garantire anche stipendi elevati, può risolversi in una disoccupazione involontaria in meno di due mesi. Una situazione di questo tipo si riflette sulle scelte di vita: famiglia, figli, mutui, investimenti. Risparmierà quanto può perché nel frattempo non sa se i propri risparmi si renderanno necessari nel giro di un anno. Se tutto va bene, no. Ma se va male, di certo non vorrà pagare lo svincolo del proprio denaro. Ora immaginiamo che questa persona veda questo concorso. Parteciperà? Probabilmente sì, perché è vero che ha studiato per ricoprire una posizione differente, ma in mancanza d’altro può essere utile avere qualche sicurezza in più, soprattutto in un mercato in cui difficilmente ci si arricchisce, e quindi difficilmente gli investimenti (anche economici e di tempo) vengono realmente ripagati.
Ora, partecipando a un concorso di questo tipo, sarà chiaramente favorito rispetto a una persona che ha deciso di non proseguire gli studi. Risultato? Ci sarà una persona in possesso di dottorato a svolgere una mansione che potrebbe svolgere chi non ha le sue stesse competenze, e la persona con minori competenze non avrà un lavoro.
Nuove assunzioni e regole di mercato
È la regola del mercato: chi ha più competenze ha più possibilità di accedere di chi ne ha di meno, se assumiamo la competenza come un fattore distintivo di successo. Tuttavia, in un contesto economico e sociale differente, la persona con un dottorato apporterebbe maggior valore assolvendo ad un ruolo diverso.
Non che la privatizzazione renda immuni da tale processo, ma qui subentra un’altra dimensione che è legata alla differente retribuzione che sussiste tra soggetto pubblico e privato (che in altri contesti privilegia il secondo) e alla necessità di stimolare un contratto collettivo nazionale per la cultura che rappresenti davvero gli equilibri percorribili tra datori e dipendenti.
Il mondo della cultura ha conosciuto numerose innovazioni nel corso degli ultimi decenni, anche se non tutte sono state realmente recepite dai nostri sistemi regolamentali, generando una condizione che merita una riflessione organica e armonica per il settore.
Più che procedere con assunzioni che potrebbero essere demandate ai privati, e che, come abbiamo visto, sono utilissime sotto il profilo individuale (chi vuole un contratto di lavoro più stabile) ma forse meno efficaci sotto il profilo aggregato; sarebbe opportuno che il sistema pubblico sviluppasse una riforma della cultura interpretandola come un settore economico (se non industriale) così da abilitare quelle trasformazioni che potrebbero rendere più equo il sistema culturale nel suo complesso. Perché una persona che accetta una mansione inferiore pur di avere una retribuzione sicura interpreterà sicuramente come un’opportunità questa politica, ma come Paese si tratta di un’implicita sconfitta.
Stefano Monti
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