Alexander Payne guida la giuria di Venezia 82. Ecco 3 film per entrare nel suo mondo
Dall’ironia malinconica di Paradiso amaro al ritorno maturo di The Holdovers, come Payne è diventato una voce unica del cinema americano
Alexander Payne sarà il presidente della giuria internazionale alla 82esima Mostra Internazionale d’Arte cinematografica di Venezia (27 agosto – 6 settembre 2025). Un nome che non sorprende: regista, sceneggiatore e produttore tra i più raffinati del cinema americano contemporaneo, Payne ha fatto della sottigliezza narrativa la sua cifra stilistica. Nei suoi film convivono ironia, malinconia e una costante attenzione alle fragilità umane, elementi che lo hanno reso uno dei cineasti più premiati e amati degli ultimi vent’anni.
Chi è Alexander Payne
Nato a Omaha, Nebraska, nel 1961, Payne si laurea a Stanford in Letteratura spagnola prima di approdare alla regia alla UCLA. Da allora, costruisce una carriera costellata di riconoscimenti: due Oscar alla miglior sceneggiatura non originale (Sideways e Paradiso amaro), quattro nomination come miglior regista, un Leone d’argento a Venezia per Paradiso amaro nel 2011. Ma soprattutto, una coerenza rara: ogni film è un racconto di persone comuni messe di fronte a scelte difficili, trattate sempre con empatia e humour sottile. “È un onore servire in giuria a Venezia”, ha dichiarato, ricordando la storia quasi centenaria del Festival come celebrazione del cinema d’autore. E se oggi vogliamo capire perché la Biennale l’abbia scelto, non basta ripercorrere premi e biografia: bisogna guardare i suoi film. Ne abbiamo scelti tre.
The Holdovers (2023)
Con questo film Payne firma il suo ritorno più applaudito. Ambientato negli anni Settanta, racconta di un insegnante scorbutico (Paul Giamatti), uno studente lasciato solo durante le vacanze di Natale e una cuoca che affronta un lutto. Tre solitudini che imparano a restare insieme. Nostalgia, dolore e humour convivono in una regia che sembra quasi invisibile, tanto è naturale. Il film ha conquistato critica e pubblico come il suo miglior lavoro dai tempi di Sideways: un cinema fatto di dialoghi, di sguardi e di quell’ironia che consola.
Downsizing – Vivere alla grande (2017)
Qui Payne osa. Immagina un mondo in cui le persone possono rimpicciolirsi per ridurre l’impatto ecologico e vivere agiatamente. Una satira fantascientifica, più ambiziosa che riuscita, che però mostra un tratto fondamentale del regista: la capacità di affrontare temi enormi – consumo, disuguaglianze, illusioni di felicità – senza mai perdere di vista la dimensione umana. Non il suo titolo più amato, ma un esperimento interessante che racconta la curiosità e il coraggio di un autore che non si accontenta.
Paradiso amaro (2011)
Tratto dal romanzo di Kaui Hart Hemmings, è forse il film che meglio rappresenta la poetica di Payne. George Clooney è un padre che deve affrontare la fine del matrimonio, una tragedia imminente e il rapporto con le figlie. Sullo sfondo, le Hawaii lontane da ogni cartolina esotica: non spiagge da sogno, ma luoghi dove si consuma un dolore privato. Il film gli vale l’Oscar per la sceneggiatura e ribadisce il suo talento nel raccontare la complessità dei sentimenti senza sentimentalismi.
Tre titoli che, messi in fila, disegnano il ritratto di un autore coerente ma mai prevedibile. Payne sa raccontare la vita con una leggerezza solo apparente, scavando nelle pieghe più intime dei suoi personaggi. È questa capacità di mescolare humour e disincanto, fragilità e dignità, che lo rende la scelta perfetta per guidare la giuria di un festival come Venezia: un regista che ama il cinema non come industria, ma come linguaggio vivo, ancora capace di sorprenderci.
Margherita Bordino
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