Alta moda in volo. Storia delle divise da hostess firmate dai grandi stilisti

Dalla Couture del Secondo Dopoguerra alle recenti collezioni sostenibili, la storia delle divise aeree è una passerella tra cielo e terra, firmata da giganti della moda come Pucci, Armani e Westwood

Non semplici uniformi, ma manifesti estetici del tempo. Le divise degli equipaggi di volo raccontano, a ben guardare, più di un secolo di cambiamenti sociali, desideri collettivi e sogni a occhi aperti. Un guardaroba ad alta quota che, nel corso del Novecento, ha sedotto stilisti e maison internazionali, da Balenciaga a Pucci, da Pierre Cardin a Valentino, dando vita a una sinergia tra moda e aviazione che ancora oggi continua, tra nostalgia d’archivio e nuove sperimentazioni. L’uniforme di volo, e in particolare quella delle hostess, ha attraversato la storia della moda come simbolo di trasformazione e eleganza. Tra esigenze di praticità e strategie di branding, le compagnie aeree hanno spesso chiamato in causa i grandi nomi del fashion system per costruire la propria identità visiva. Il risultato? Tailleur avvitati, foulard iconici, tocchi futuristici, reinterpretazioni nazionaliste e audaci scelte di stile, oggi sempre più orientate anche alla sostenibilità. In questo viaggio tra archivio e contemporaneità, ripercorriamo alcune delle più celebri collaborazioni tra stilisti e compagnie aeree.

Uniforme di volo: origine e storia delle divise da hostess

La prima uniforme aerea riconoscibile risale al 1944, quando la compagnia americana Transcontinental & Western Air (TWA) affida allo stilista e costumista hollywoodiano Howard Greer la realizzazione di una mise formale ed elegante, pensata per le nuove esigenze dell’era del trasporto aereo civile. Il tailleur in lana blu includeva dettagli innovativi come il bavero staccabile, utile per mascherare il logo aziendale durante le ore libere, e il “blou-slip”, un indumento intimo ibrido progettato per evitare i continui aggiustamenti dell’abbigliamento. Negli Anni Sessanta, sull’onda della corsa allo spazio e della nascita del jet set, le uniformi prendono una direzione più stilizzata, diventando vere e proprie icone di modernità e sperimentazione. È il caso della collezione Gemini 4 disegnata nel 1965 da Emilio Pucci per la compagnia Braniff International Airways: un’esplosione di colore, abiti in jersey modulabili e addirittura caschi da astronauta per proteggere le acconciature delle hostess. Tre anni dopo, il visionario Pierre Cardin firma per Union de Transports Aériens minidress dalla linea ad A con tasche circolari e collant decorati, portando lo spirito della moda Space Age direttamente tra i corridoi degli aerei. Anche la raffinatezza parigina di Cristóbal Balenciaga serve l’immagine di Air France, tra doppiopetto, foulard scenografici e stivaletti go-go. L’uniforme non è più solo una divisa, ma un simbolo del progresso culturale e tecnologico.

Divise da hostess: identità nazionale e stile globale

Negli Anni Settanta, le compagnie aeree iniziano a valorizzare la propria identità nazionale attraverso il linguaggio della moda. Il guardaroba di bordo diventa veicolo di rappresentanza, a metà tra diplomazia estetica e racconto culturale. Nel 1971, Valentino Garavani disegna per TWA un uniforme color prugna in poliestere, con linee pulite e un’eleganza sobria, espressione del nuovo business look aereo. Più audace e sperimentale è invece la collaborazione tra André Courrèges e la compagnia UTA: mini cappotti in pelle lucida rossa e azzurra, stivaletti bianchi, gonne a trapezio, un’estetica radicale, a metà tra moda futurista e sportwear metropolitano. Anche l’Italia contribusce al glamour ad alta quota: Renato Balestra firma per Alitalia una delle uniformi più iconiche, con camicia bianca dal taglio militare e gonna plissé verde, diventando un emblema dell’eleganza italiana nel mondo. Nel 1991, la compagnia torna a coinvolgere l’alta moda chiamando Giorgio Armani, che propone un look grigio essenziale, quasi minimalista, in un richiamo raffinato alla prima uniforme firmata Sorelle Fontana negli anni Cinquanta. Anche Yves Saint Laurent partecipa alla costruzione dell’estetica aerea: per Qantas Airwats, firma negli Anni Ottanta un’unifrome con giacca smoking e stampa con piccoli canguri, omaggio sottile all’identità australiana. L’uniforme diventa così un ponte tra cultura locale e linguaggio universale del design.

Le divise da hostess oggi

Il XXI Secolo porta con sé nuove sfide. La divisa aerea, oggi, deve rispondere a criteri di inclusività, sostenibilità e storytelling. Tra le collaborazioni recenti più celebri c’è sicuramente quella tra Vivienne Westwood e Virgin Atlantic (2014), in cui la stilista britannica rilegge in chiave punk il classico tailleur da hostess: una giacca “Bettina” dal taglio scultoreo, abbinata a una pencil skirt rosso fiammante e a camicie jacquard dal colletto edoardiano. I materiali sono riciclati, a basso impatto ambientale, in linea con la crescente attenzione etica nel fashion system. Nel 2023, British Airways ha introdotto una nuova uniforme firmata Ozwald Boateng, stilista britannico di origini ghanesi: il suo lavoro coniuga tailoring tradizionale e heritage culturale afro-britannico, portand un’estetica fluida, gender-aware e internazionale tra le nuvole. Nel complesso, la divisa hostess contemporanea è diventata una piattaforma per comunicare valori aziendali, visioni di inclusività, appartenenze culturali e ricerca sostenibile. Un laboratorio a cielo aperto dove il passato e il futuro della moda si incontrano, a 10.000 metri di quota.

Erika del Prete

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Erika del Prete

Erika del Prete

Appassionata d'arte in ogni sua forma e amante dell'estetica. Laureata in Design della Moda, con tesi in Styling, collabora con diverse riviste su temi quali Fashion, Lifestyle, Cinema e Musica. Affascinata dal vintage e dalle storie di ogni singolo, si…

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