Anche a Milano si può fare arte di prossimità. Lo spazio Settantaventidue lo sta dimostrando

Sui Navigli milanesi, lo spazio non profit Settantaventidue propone un’offerta variegata, tra mostre, performance, pubblicazioni e dischi. Scopriamo il progetto attraverso le parole di uno dei suoi fondatori

Nasce nel novembre del 2023 lo spazio non profit a vocazione multidisciplinare Settantaventidue, il cui nome viene dal colore RAL 7022 imposto per la facciata dell’edificio di Via Ludovico il Moro 1, sui Navigli a Milano, che ne ospita l’attività. Il progetto, fondato da Alessandro Scotti e Daniel Marzona, insieme a Luca Pitoni, Giuseppe Ielasi, Nicola Mafessoni e l’editore bresciano Bruno Tonini, ha ricevuto fin dall’inizio grande riconoscimento e attenzione dal pubblico, complice una programmazione che va dall’arte contemporanea all’architettura e dalla sound art al design, passando per la musica contemporanea e l’editoria. Tra le mostre e gli eventi più recenti si trovano protagonisti come Cesare Leonardi, Michele Guido, LUCE, Lori Goldston, Giusto Pio, Lionel Marchetti, Gabriele Basilico, Valerio Tricoli, Øystein Aasan, Terry Fox, Sol Le Witt e Alessandra Spranzi, solo per citarne alcuni. Settantaventidue è pensato come luogo di prossimità e sperimentazione, qui il vero lusso sono il tempo e le relazioni. Il progetto, infatti, mantiene negli anni la radicalità di spazio indipendente che si autofinanzia e si sviluppa grazie a donazioni e collaborazioni solidali. L’obiettivo è eliminare le barriere economiche e simboliche nell’accesso all’arte, proponendo performance dal vivo o dando la possibilità di consultare liberamente preziosi materiali d’archivio. Abbiamo chiesto ad Alessandro Scotti di raccontarci il progetto.

Il programma di Settantaventidue

“Ho strutturato l’attività in quattro programmi principali, ognuno con un proprio focus. Il primo riguarda le arti visive contemporanee, il secondo è dedicato alla sound art, che si manifesta soprattutto in una dimensione performativa, il terzo è incentrato su design e architettura e l’ultimo, il quarto, si chiama House of Estates e contempla l’introduzione permanente di archivi di grandi artisti del Novecento, non più in vita, e provenienti da ambiti diversi. Questo, per esempio, è stato inaugurato con l’archivio di Rolf Julius, poi ha seguito la Fondazione Archivio Cesare Leonardi e ora quello di Gabriele Basilico: volevamo offrire una piccola finestra pubblica, sempre aperta, per archivi spesso custoditi da eredi o familiari, difficilmente accessibili. Selezioniamo una porzione minima dell’archivio, curata con chi lo gestisce, e la rendiamo accessibile al pubblico in modo non musealizzato, ma diretto e intimo. In un certo senso gli archivi diventano così come artisti residenti”.

Un’esperienza di prossimità 

“Il principio che guida tutta la programmazione di Settantaventidue è quello di offrire un’esperienza di prossimità con il lavoro artistico. Non ci interessa scoprire nuovi talenti, ma piuttosto dare spazio ad artisti e figure dal percorso chiaro, coerente, radicale. Crediamo che ci sia un cambiamento in atto nell’esperienza dell’arte: una parte sempre più ristretta della popolazione ha un rapporto quotidiano con le arti, mentre la maggioranza ne è completamente distante, ha accesso solo a prodotti legati all’entertainment. Per questo abbiamo scelto di entrare attraverso qualcosa di semplice e familiare: un piccolo negozio di dischi e libri selezionatissimi. Nessuna barriera, nessun equivoco. Vogliamo contrastare l’idea che l’esperienza dell’arte sia riservata a due sole categorie: chi la osserva da lontano, nei musei, e chi può permettersela economicamente. Tutto lo spazio e il lavoro curatoriale sono pensati per offrire un’esperienza il più possibile simile a quella di chi possiede un’opera, che la vive in casa, da vicino, in modo personale. Questo si applica potentemente anche al programma di sound art: artisti che di solito performano su palchi, per grandi platee, qui vengono invitati a esibirsi per poche persone, in uno spazio raccolto. È un ritorno alle origini, quasi un lusso, come la musica da camera: un’esperienza ravvicinata, intima. Anche in questo caso, l’accesso è gratuito o a donazione, e l’intero ricavato va all’artista. Alcuni scelgono di non chiedere nulla, altri ritengono giusto essere pagati per il proprio lavoro. È una scelta politica e personale, che rispettiamo in pieno. Nessuno è mai stato escluso per motivi economici. E tutto ciò che accade qui è a titolo gratuito, anche per noi: non guadagniamo nulla. Lo facciamo per la gioia di condividere. Le opere, in molti casi, ci vengono prestate da istituzioni o collezionisti mossi dallo stesso spirito. Ed è questo che ci permette di tenere in piedi il progetto, finché riuscirà a rimanere fedele alla sua radicalità”.

Un’occasione per sperimentare e riflettere

“Ogni evento è accompagnato da una pubblicazione, un foglio di sala, ma pensato con grande cura. È una delle regole che ci siamo dati sin dall’inizio: per ogni progetto, che sia una mostra o una performance, produciamo un oggetto editoriale. Il tutto è disegnato dallo studio Tomo Tomo, con la carta fornita da Paper & People e la stampa curata da Presspoint, che ci sostengono da tempo. A volte si tratta di cartoline, altre volte di cataloghi più strutturati, comunque sempre qualcosa di fisico, che costruisce nel tempo un archivio. Per esempio, abbiamo fatto una mostra dedicata agli auguri di Natale dei designer italiani dagli Anni Quaranta ai primi Settanta, scoprendo una collezione straordinaria di piccoli cartoncini, veri e propri esercizi di stile e creatività. In un’epoca predigitale, era l’occasione per i designer di mostrare il proprio talento senza vincoli, senza un cliente da soddisfare. Alcuni erano fatti a mano, altri stampati, ma tutti erano riflessioni sincere, personali. C’erano nomi come Munari, Sottsass, Mari… La mostra è stata accompagnata da una conferenza di Mario Piazza sulla storia della grafica italiana. In un altro caso, quando abbiamo ospitato la violoncellista dei Nirvana, abbiamo scelto come pubblicazione una maglietta: il testo era stampato sull’etichetta interna, impaginato come se fosse un catalogo. Oppure, per la mostra sull’architettura radicale, dove Gabriele Basilico aveva ritratto Branzi ad occhi chiusi e poi li aveva coperti con dei puntini neri, abbiamo prodotto una pubblicazione forata a mano negli stessi punti, rendendo ogni copia unica. Questo spirito ci accompagna sempre: è un esercizio di libertà creativa. Luca Pitoni, che è uno dei soci dello spazio, lo dice spesso, è come per i biglietti di auguri dei grafici di un tempo, un’occasione per sperimentare e riflettere”.

Settantaventidue © TomoTomo. Courtesy settantaventidue
Settantaventidue © TomoTomo. Courtesy settantaventidue

Il lusso del tempo condiviso e dello scambio

“La programmazione è intensa: in condizioni normali, ogni mese o mese e mezzo inaugurano due mostre. E poi ci sono gli eventi di sound art, circa uno a settimana. Questa intensità è anche, in parte, una reazione alla perdita improvvisa di Daniel Marzona, con cui tutto questo era stato immaginato. La sua scomparsa ci ha lasciati sgomenti e ci siamo detti: o ci blocchiamo o reagiamo. Abbiamo reagito. Anche la composizione del gruppo è cambiata nel tempo, io e Luca Pitoni ci siamo fin dall’inizio, Nicola Mafessoni è passato alla curatela esterna della sezione arte contemporanea. Poi sono entrati Fabio Servafiorita, Andrea Cernotto e Andrea Gessner e Paolo Ferraguti. È stato un processo fluido, ma ricco. Dopo appena un anno e mezzo abbiamo già realizzato oltre cinquanta progetti. La risposta degli artisti è stata incredibile e molti di loro arrivano da percorsi solidi, non alla ricerca spasmodica di uno spazio espositivo. Ora ci arrivano proposte persino dalla Cina o dagli Stati Uniti. Credo che ciò che li attrae sia anche l’atmosfera: autentica, conviviale, senza gerarchie. Quando un artista viene, lo ospitiamo, si sta insieme. È un’esperienza condivisa. Non c’è nessuno che guarda da lontano: si è dentro. E forse è proprio questo che rende il nostro spazio unico, almeno qui a Milano. Per me è anche una riflessione sul concetto di lusso: un lusso assoluto, ma di idee. Non nei materiali, qui non c’è nulla di prezioso, costoso, esclusivo, ma c’è tantissimo pensiero. È un luogo accessibile, in cui il lusso sta nel tempo condiviso, nello scambio. Credo che questa piccola scala sia una forza. In un tempo in cui tutto tende a diventare gigantesco, spettacolare, fuori scala, noi abbiamo scelto la misura umana. E questo crea relazioni, dialogo, esperienze. Questa è la nostra dimensione naturale. Ed è da lì che vogliamo partire. Tutto questo ha anche un grande valore politico, nel senso più profondo del termine, che riguarda la vita della comunità. Il nostro sostentamento arriva solo da donazioni, e questo implica una logica diversa: non quella dell’investimento in senso finanziario, ma di un ritorno che è un’altra cosa. È una forma di scambio, certo, ma fatta di immaginazione, fiducia, responsabilità condivisa”.

Caterina Angelucci

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Caterina Angelucci

Caterina Angelucci

Caterina Angelucci (Urbino, 1995). Laureata in Lettere Moderne con specializzazione magistrale in Archeologia e Storia dell’arte presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dal 2018 al 2023 si è occupata per ArtsLife di contenuti e approfondimenti per la sezione…

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