Cannes78 apre con un’opera prima di una regista donna (ma ai critici non piace)
Amélie Bonnin passerà alla storia di questa edizione del Festival, che non ha mai aperto con un film d'esordio di una regista donna. Il film è un (anti)musical che tenta una sincerità, forse, un poco naif. I critici anglofoni non le perdonano la colonna sonora tutta francese

Tutti noi apparteniamo a un luogo, e se sei nato in campagna vi appartieni in modo ancor più stretto. Il nostro dramma esistenziale consiste nel fatto che siamo alberi con radici piantate a terra e la chioma protesa verso il cielo: siamo radicamento e sogno, speranza, ambizione; a volte, siamo il desiderio di superare i padri, di “ucciderli” diventando più bravi di loro. È quel che riesce a compiere Cécile, la protagonista di Partir un Jour, vincendo un reality culinario e proiettandosi nel sogno estenuante di aprire uno stellato a Parigi. Così del film d’apertura della 78esima edizione di Cannes, che per la prima volta apre con un’opera prima di una regista donna, Amélie Bonnin.
“Partir un jour”, il film di apertura a Cannes
Il progetto di Cécile, impersonata dalla cantautrice francese Juliette Armanet, è stressante e viene interrotto proprio dal “richiamo” del padre (François Rollin) che si ammala. Lui, burbero e lento cuoco della provincia francese, insieme alla madre Fanfan (Dominique Blanc della Comédie-Française) sfama dozzine di camionisti (sono loro le guide più autorevoli) litigando aspramente e con amore, come nelle più classiche delle anziane coppie.
Il ritorno di Cécile apre la strada alle piccole gioie che il passato, quando è passato, sa regalare; incluso il ritorno di Raph (Bastien Bouillon, che co-firma la sceneggiatura), quel primo amore che un tempo “non si scordava mai”, ma che adesso si consuma come tutto il resto.
Critiche all’opera prima di Amélie Bonnin
La commedia sentimentale a sfondo familiare è cadenzata da brani e danze che sorgono tra le scene come improvvisate, in un musical che è quasi un anti-musical e che tenta la via dimessa di una dimensione più intimista e spontanea rispetto alle commedie musicali hollywoodiane. Thomas Krameyer firma gli arrangiamenti di una playlist che è molto familiare ai quarantenni francesi, ma che dice poco a una platea internazionale: cosa che alcuni critici non hanno perdonato ad Amélie Bonnin. Secondo The Guardian, il film è “fiacco e presuntuoso”, con canzoni poco coinvolgenti e una trama sentimentale poco convincente, e The Times lo descrive come un musical europeo insipido, con performance musicali poco incisive.
Pregi del film di apertura a Cannes78
Eppure vi è qualcosa di coinvolgente in una storia piana che scorre con il ritmo della vita di una provincia non ancora aggredita dalla ipermodernità. Classe 1985 e al suo primo lungometraggio, Amélie Bonnin ha qui esploso quel suo corto vincitore del César nel 2023, cosa che forse non ha fatto troppo bene al quadro generale, ma che narrava di Raph (Bastien Bouillon) di ritorno al paese per ritrovare Cécile. Questo film inverte i ruoli: Bonnin sostiene che voleva riportare le riflessioni e il vissuto di una generazione di donne quarantenni, che “pur essendo mature hanno ancora tanto da mettere a posto”.
Sullo sfondo c’è una maternità non desiderata, tra libertà e colpa, e quel tentativo di incontro con il padre, gioia e tormento, di un personaggio in cui molte altre donne, francesi e non, potranno riconoscersi. “Trovo che il cinema non parli molto delle relazioni tra padri e figlie, questa è l’occasione di evocare una generazione di uomini a cui non hanno insegnato a comunicare”, ha spiegato la regista. Applausi, fiochi, all’ultima proiezione del giorno nel Grand Théâtre Lumière.
Nicola Davide Angerame
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati