Tutti gli artisti di Caparezza: abbiamo ascoltato in anteprima “Museica”, dove ogni brano è ispirato a un grande dell’arte

Definirlo concept album può sembrare esagerato, ma c’è un filo conduttore inedito e inatteso a scorrere sottotraccia, un brano dopo l’altro, in Museica: quello dell’arte. Con ogni brano che si ispira a un artista, un movimento, un’avanguardia; figure e situazioni di riferimento per aiutare a inquadrare il presente senza cadere nei soliti cliché della cultura […]

Definirlo concept album può sembrare esagerato, ma c’è un filo conduttore inedito e inatteso a scorrere sottotraccia, un brano dopo l’altro, in Museica: quello dell’arte. Con ogni brano che si ispira a un artista, un movimento, un’avanguardia; figure e situazioni di riferimento per aiutare a inquadrare il presente senza cadere nei soliti cliché della cultura stereotipizzata dalla tv e dai social media. Sorprendente il ritorno di Caparezza, nei negozi di dischi con Universal dal 22 aprile: l’Italia di oggi non si racconta con le Belen e i Corona, i Grillo e i Renzi, le ansie da reality e il vuoto cosmico generazionale. Ma appigliandosi a Schopenhauer e Giovenale, Dante e Michelangelo, Indro Montanelli e Brian Wilson; in un citazionismo maturo, innestato su una varietà di cromie musicali che esce dal tunnel del rap tradizionale. Ammiccando con insistenza alle schitarrate del cross-over più virulento (non mancano passaggi in stile Rage Against The Machine o Linea77), giocando con la classica, il folk e l’electrocash.
Cosa architetto di strano? / Boh, pensavo a Lucia Mondella nel letto / che dice “Renzo… piano!”: attacca così l’intro di Museica, a mettere subito in chiaro il mood di un album che intreccia riferimenti a volte anche più che dotti, come nel caso di Argenti vivi. Brano ambientato nell’Inferno dantesco, con la figura storica di Filippo Argenti eletta a icona della spregiudicata grettezza di una classe dirigente famelica e cafona. Da un modello negativo ad uno positivo: quello che in Mica Van Gogh propone il lucido e impietoso confronto con il sacro fuoco che ardeva nel petto di Vincent e quello fatuo dietro cui si perdono le ultime generazioni. Qualche passaggio? “Lui trecento lettere / letteratura fine / tu centosessanta caratteri / e due faccine”; ma anche “lui London, Paris, Anvers / tu megastore, Iper, Multiplex” oppure “lui è esaltato per aver incontrato Gauguin / tu perché hai pippato cocaine”. L’arte, dunque, diventa più che mai maestra di vita. Lo fa in Teste di Modì, dove la spassosa narrazione dell’episodio dei falsi Modigliani nasconde l’invito a una ironica liberalità, così da “prendermi gioco di ogni tua certezza / ma con leggerezza come un colibrì”; lo ribadisce in Comunque Dada, inno a un nichilismo proattivo che identifica in Tristan Tzara, Hugo Ball ma anche Piero Manzoni simboli del più salutare anticonformismo.
All’uscita di Aqualung, nel 1971, il leggendario magazine Disc & Music Echo titolò: “Buon Dio! Ora Ian Anderson vuole che pensiamo!”. A oltre quarant’anni di distanza la frase spesa per i Jethro Tull vale per Caparezza, che ammette in Giotto Beat: “ho bisogno di una prospettiva / come gli affreschi di Giotto / come chi pesti al G8”. E noi con lui.

– Francesco Sala

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Francesco Sala

Francesco Sala

Francesco Sala è nato un mesetto dopo la vittoria dei mondiali. Quelli fichi contro la Germania: non quelli ai rigori contro la Francia. Lo ha fatto (nascere) a Voghera, il che lo rende compaesano di Alberto Arbasino, del papà di…

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