Presente e futuro dell’arte digitale. Reportage da Ars Electronica

Anche quest’anno, a Linz, si è rinnovato l’appuntamento con il festival dedicato alle innumerevoli sfumature dell’arte digitale. Con molte novità e una serie di riflessioni.

Ristretta nei fondi e invece enormemente ampliata nelle presenze, Ars Electronica combatte la crisi dando accesso a centinaia di espositori grazie allo spazio comunale dell’ex stazione-post-office, immenso (10mila mq circa) e labirintico spazio industriale abbandonato dove si collocano Innovators, Arduino Fans, Bio-etici, Designers, Technomusic Makers, Maker Fairs, attivisti di quasi tutto e naturalmente Techno Artists. Mancano solamente gli adoratori del sole e i nudisti per completare un paesaggio in stile “La Montagnola”, la comunità culturale/esoterica/artistica/utopica che agli inizi del Novecento fiorì vicino a Locarno e in cui vissero anche Herman Hesse e Bakunin.

Ars Electronica 2017. Victoria Vesna Charles Taylor Takashi Ikegami Hiroo Iwata Reiji Suzuki, Bird Song Diamond. Photo Florian Voggeneder

Ars Electronica 2017. Victoria Vesna Charles Taylor Takashi Ikegami Hiroo Iwata Reiji Suzuki, Bird Song Diamond. Photo Florian Voggeneder

GLI ARTISTI

All’OK Centre sono esposti lavori interessanti come Somatic Echo della coreana Juri Hwang, che crea i suoi pezzi di musica elettronica e li trasmette utilizzando la conduzione sonora delle ossa del cranio (come avviene per le attrezzature dei sordi) e rifacendosi al discorso fra spazio e suono compiuto da John Cage. Mimi Son ed Elliot Woods regalano alla mostra un lavoro di forte impatto visivo con Light Barrier 3d Edition, composito variabile di luci interattive. Paul Vanouse, invece, ormai un guru della Bioarte su cui si moltiplicano testi e pubblicazioni, preleva al pubblico consenziente della saliva e ne trova il DNA. Dimitri della Faille e CedriK Fermont vincono il primo premio per l’interessante installazione di sound design Not your world music-Noise in South East Asia, musica-montaggio di suoni presi dalla street scene asiatica che ricerca la verità dei suoni nel panorama ormai artefatto della musica world.
Nel Postcity per la prima volta si organizza un’art fair con un numero notevole di gallerie d’arte che trattano opere digitali apparse qua e là fra Europa, Asia e Usa. Alcune gallerie sono interessanti. Propongono, in generale, la riduzione dell’arte digitale a stop-frame che creano fruizioni variabili nei tempi e nell’immagine e cioè le gif. Tuttavia questa non è l’unica via percorribile. D’altra parte anche Bill Viola e la videoarte si sono dislocati in solidi schermi digitali e incorniciati. E tanta esperienza del video entra nell’universo del cinema (Steve Mc Queen, Shirin Neshat e tanti altri).

Ars Electronica 2017. Photo Florian Voggeneder

Ars Electronica 2017. Photo Florian Voggeneder

I SIMPOSI

Il punto più significativo di quest’anno sono i simposi in cui si torna su alcuni problemi fondamentali: la durata dell’opera digitale e i rapporti fra digitale e arte contemporanea.
Quali sono i problemi per una duratura presenza dell’arte digitale? La conservazione e la collezione, resi però difficili dal continuo scontro fra nuovi metodi e formati che fan sì che ogni pochi anni un riquadro appaia sul computer e ci avverta che “non è più supportato!”, buttando via così tempo e impegno per salvare (è quasi sempre troppo tardi) le strutture complesse di software che compongono un lavoro.
Novità forte sono i convegni dal titolo GLUON SESSION in cui sono invitati nomi del sistema dell’arte per pronunciarsi sul tema arte e media, come Paul Dujardin, Rachel Rose e Hans Ulrich Obrist, emblema del sospettoso distacco della critica dell’arte contemporanea rispetto ai supposti “eretici” della New Media Art. Il problema è: quali sono i costi, le perdite e i guadagni di uno spazio come il digitale finora coraggiosamente indipendente? I costi vanno trovati in un modificarsi dei prodotti digitali dal pubblico al privato, nel confronto con sistemi linguistici diversi, nel cambio di controllo culturale del sistema digitale che passa da un ambito “specializzato” al vasto e sicuramente tempestoso spazio dell’arte contemporanea. Obrist si guarda attorno come il cinematografico poliziotto-Blade Runner di Ridley Scott circondato dai cyborg. Il suo intervento è breve, secco, inquisitivo, quasi un rimprovero, mentre più sereno e conciliante suona Dujardin, più interessato al dialogo. Cosa succederà in futuro? Il severo Blade Runner/Obrist (ovvero l’arte contemporanea) accetterà di correre “sul filo del rasoio”, si unirà con la bella cyborg (l’Arte Digitale) come nel film? Impossibile dirlo. Alle prossime puntate la soluzione di quest’assurda storia che dura da più di trent’anni. E che finalmente si spera trovi una soluzione coerente e razionale con una fusione di linguaggi che non distrugga le diversità specifiche e significative e che evidenzi in ambedue i campi le possibilità di crescita, di interscambio e il salto epocale prodotto dalle tecnologie digitali nelle comunicazioni e nell’immagine.

Lorenzo Taiuti

www.aec.at

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Lorenzo Taiuti

Lorenzo Taiuti

Lorenzo Taiuti ha insegnato corsi su Mass media e Arte e Media presso Academie e Università (Accademia di Belle Arti di Torino e Milano, e Facoltà di Architettura Roma). È esperto delle problematiche estetiche dei nuovi media. È autore di…

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