Identikit della giovane arte italiana. Intervista a Lorenzo Balbi

La prima prova espositiva, tutta italiana, del neo-direttore del MAMbo si rivela affollatissima. 56 artisti danno vita a “That’s IT!”, un progetto de-programmato sull’identità italiana di alcuni autori nati dopo il 1980. Un’appropriazione di spazi e interstizi museali che raccontano fin troppo. Immagini della piccola folla che rappresentiamo, dimenticando l’Uomo che siamo.

That’s it!” è una formula conversativa e informale che gli anglosassoni generalmente utilizzano per concludere definitivamente un discorso, per fissarne alcuni giudizi/posizioni, oppure per confermare, senza alcuna offerta di diritto di replica, contenuti precedentemente discussi.
Con questa medesima formula il MAMbo apre la programmazione espositiva della Sala delle Ciminiere, sotto la direzione artistica di Lorenzo Balbi. Il sottotitolo del percorso è ambizioso, ma non esibizionistico: Sull’ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine; al di sotto di questi due apparenti binari tematici si dipanano i lavori di 56 tra artisti e collettivi nati dal 1980 al 1996, includendo fotografie, installazioni, sculture, video, interventi a parete, rielaborazioni digitali e riadattamenti allestitivi. Sembra non mancare nessuno, i nomi noti ci sono tutti: da Benni Bosetto ad Alice Ronchi, da Giulia Cenci a Margherita Moscardini, da Irene Fenara ad Alessandro di Pietro, da Diego Marcon a Roberto Fassone, senza dimenticare The Cool Couple e Margherita Raso, ma, come è giusto che sia, in una panoramica complessiva che non pretende alcuna esaustività, e che cerca di evitare l’autoreferenzialità, sono diversi gli esclusi illustri.
Secondo il curatore-direttore, That’s IT! (IT come codice dell’Unione Europea che individua la sigla dell’Italia) non propone determinazioni e chiusure relative ai confini dell’identità, all’interno dell’arte italiana contemporanea, “ma ne sviluppa interrogativi e possibili letture in una prospettiva aperta, dialettica e magmatica. Ha ancora senso oggi definire un artista ‘italiano’? Cosa contribuisce a determinare la definizione di “italianità”? Tale definizione ha delle conseguenze sull’autorappresentazione dell’artista? Dove e come poniamo il confine geografico e generazionale?”.
Balbi risponde da co-curatore, sostenendo che siano stati soprattutto gli artisti, presentando lavori per loro emblematici, ad aver dato le direttive di questo frequentato percorso espositivo.

Diego Tonus & Anonimo, A Moment of Darkness, 2018. Courtesy l’artista. Installation view at MAMbo, Bologna 2018. Photo E&B Photo

Diego Tonus & Anonimo, A Moment of Darkness, 2018. Courtesy l’artista. Installation view at MAMbo, Bologna 2018. Photo E&B Photo

L’INTERVISTA

Il MAMbo si definisce sulla frontiera di quel che accade in merito ad artisti nati dopo gli Anni Ottanta. Come hanno abitato e coabitato gli spazi, i protagonisti della mostra? Quali strategie di coesistenza hai riscontrato?
La modalità di ingaggio, nei confronti degli artisti, è stata molto specifica, in questa determinata circostanza, perché a loro è stato riferito con trasparenza: That’s IT! è la prima mostra che curo in questo museo, si tratta di una operazione di appropriazione degli spazi e di abbattimento di ogni compartimentazione museale, soprattutto delle due dimensioni interno/esterno. Il MAMbo era un po’ chiuso in se stesso. Parlando con le persone, abbiamo scoperto che restituiva l’immagine di un luogo nel quale avvenivano cose per pochi, nascoste, invece noi abbiamo voluto aprirlo.

In che modo l’avete fatto?
Il sintomo è stata l’apertura verso l’esterno di una sorta di vetrina, sotto i portici, dove la gente che passa può vedere quel che si sta svolgendo al piano terra. Inoltre abbiamo voluto creare altre finestre, internamente, che non creassero una barriera tra lo spazio espositivo dedicato alle mostre temporanee e quello dedicato alla collezione permanente, che ora deve dialogare con il contemporaneo.
Questo era già possibile, grazie alla struttura architettonica del museo, ma non era mai stato attuato, tanto è vero che vengono venduti due biglietti distinti, ma viene offerta anche l’opportunità di poter sbirciare fra i due spazi espositivi, qualora se ne acquisti uno soltanto. Questa strategia di rivoluzione degli spazi è stata comunicata agli artisti che hanno cercato di inserirsi nelle pieghe della riflessione; chi più direttamente, come Benni Bosetto, che ha realizzato vetrate su finestre mai aperte prima, oppure come Marco Giordano, che ha agito sull’impacchettamento delle vetrate del museo, con la collaborazione dei mediatori culturali che lui ha convocato e ha reclutato per la sua performance; per poi arrivare ad artisti che hanno raggiunto di riflesso gli abbattimenti delle varie segmentazioni, attraverso un lavoro dialogico, di relazione con essi.

Che cosa significa ripartire con l’ultima generazione di artisti in Italia?
Sono due i motivi principali che hanno guidato questa scelta. Il primo è il tema con cui mi sono candidato [al concorso come direttore del MAMbo, N.d.R.]. Era mia intenzione esaudire le idee che avevo promesso durante la mia “campagna elettorale”. Quando ho svolto il colloquio ho affermato: “Mi occupo di artisti giovani, di artisti della mia generazione e questa è la mia ricerca degli ultimi anni, quindi, qualora venissi selezionato, preparatevi a vedere un certo tipo di sperimentazione, non a ospitare singoli nomi affermati con carriere internazionali”. D’altro canto, essendo l’ultimo arrivato, mi sono inserito all’interno di un’istituzione che è attiva dal 1975; uno spazio con una storia che non poteva essere ignorata, ma che all’opposto doveva essere perseguita. Ed è proprio dallo studio delle mostre precedenti del MAMbo che è emerso come questo luogo sia sempre stato un punto di riferimento per gli artisti italiani. Dunque That’s IT! prosegue nel solco di un’istituzione che ha sempre avuto il compito di valorizzare la sperimentazione nell’arte italiana.

Lia Cecchin, DADA POEM (to a fearless female), 2018. Installation view at MAMbo, Bologna 2018. Photo E&B Photo

Lia Cecchin, DADA POEM (to a fearless female), 2018. Installation view at MAMbo, Bologna 2018. Photo E&B Photo

E la citazione di Bruno Munari “a un metro e ottanta dal confine” come viene trasposta nella mostra?
Le parole del sottotitolo incarnano l’aspetto più contemporaneo della mostra, se ne parla quasi ogni giorno, soprattutto dopo l’avvento del nuovo governo. Ma in questa mostra si va oltre ogni misura. Il Codice Minimo di Bruno Munari interpreta, attraverso la poesia Arte e confini del 1971, l’attenzione sul problema se abbia ancora senso stabilire o definire un artista in base alla sua nazionalità. Sulla scia di questo istinto relativo all’andare oltre, che coinvolge in prima linea gli spazi, abbiamo voluto oltrepassare il concetto di nazione e quindi di appartenenza geografica. Nel 2018, le etichettature servono per dare indirizzamenti a concorsi, a selezioni nazionali, alle borse di studio e soprattutto servono a indirizzare, a restringere eccessivamente, burocraticamente gli artisti. Tutti loro, quando avevano letto il tema della mostra, si erano già rivelati refrattari, dubbiosi all’idea di essere coinvolti solo a causa di una loro presunta nazionalità – ci sono molti artisti nati al di fuori dell’Italia che però io considero italiani perché hanno vissuto nel nostro Paese o perché sono cresciuti qui, come artisti. Si parla di confini liquidi e di nazionalità espanse, ma poi i tentativi di costruire gruppi nazionalizzanti di artisti, al posto di ricreare vere e proprie comunità, è davvero prevaricante nel sistema dell’arte italiana. Qui in mostra l’artista è italiano perché ha intuito, raccontato e fatto parte di una certa cultura, di una collettività, realizzando un abbattimento delle categorizzazioni. Una sorta di ius soli artistico.

Invadendo gli spazi di un museo con un progetto di insinuazione dei confini, quale messaggio viene lanciato?
That’s IT! è la crescita di un mettere-insieme. Quando abbiamo lanciato la programmazione del MAMbo con la sciarpa di Maurizio Cattelan il tema era: salite a bordo! Facciamo squadra! Tutti possono entrare! E infine tifate per noi! L’idea di questa mostra è quella di scardinare gli spazi deputati di un museo appropriandosi anche delle persone che lavorano all’interno, creando una comunità attraverso la quale iniziare un discorso. Bologna è centralissima e si deve investire oltremodo sul tracciamento di nuove, ulteriori comunità.

Dunque è più appropriata che mai una mostra generazionale sugli artisti italiani, ma perché è fondamentale a Bologna e al MAMbo?
Storicamente individuata come città della sperimentazione, Bologna si deve rilanciare come un territorio dove ancora si può creare una massa critica. Soprattutto all’interno di un museo che deve diventare centro di riferimento per la creazione di contenuti e di possibilità. Bisogna essere attrattivi offrendo studi e residenze, così come è successo per il nostro bando che è appena stato vinto da due artisti. Siamo al centro dell’Italia, gli artisti devono passare da qui, se vogliono andare da nord a sud: dunque fermatevi, perché qui c’è un luogo dove le cose accadono.

Giulio Squillacciotti, Note sopra le Virtù Materiali per un monologo mai andato in scena, 2017 18. Installation view at MAMbo, Bologna 2018. Photo E&B Photo

Giulio Squillacciotti, Note sopra le Virtù Materiali per un monologo mai andato in scena, 2017 18. Installation view at MAMbo, Bologna 2018. Photo E&B Photo

Il rapporto che tu hai avuto con i 56 artisti negli ultimi mesi è stato intenso, molto stretto, dialogico. Perché si è reso necessario?
La mostra offre risposte personali, ci sono concetti che io ho sviluppato solo perché ho avuto modo di lavorarci dall’interno, ma ognuno può presentare le proprie sensazioni e i propri interrogativi, riguardo al percorso. Visioni, temi comuni e possibilità di questa generazione sono ancora tutti di là da venire, non esistono né raggruppamenti tematici né un percorso stabilito, anche perché la selezione delle opere è stata co-curata dagli artisti e la formulazione di possibili argomentazioni deve essere aperta. Non esiste nulla di pregresso, questo è l’obiettivo dei sentieri generazionali.

Potresti elencare tre caratteristiche che accomunano processi, metodologie e pratiche della generazione da te individuata?
Grazie alla commissione di testi in catalogo, sono riuscito, attraverso le affermazioni di autori, curatori, critici e anche artisti, a far emergere alcune linee guide tematiche, così come ricordano le parole di Lucia Aspesi che indaga il tema del video, ad esempio, come linguaggio ricorrente che attraversa questa generazione ‒ influenzata, forse, dalla linea rompighiaccio di Vezzoli e Ancarani. Una grammatica tutta italiana, tra arti visive e cinema, con successi clamorosi in entrambi i settori, accompagnati da una finitezza formale e una cifra stilistica molto avanzate. Un altro assunto è quello dell’educazione artistica, infatti, nella prima sala, sono esposti anche i percorsi formativi di ciascuno di loro. Spesso si critica il loro scarso successo internazionale, imputando loro una scarsa preparazione, in realtà non è esattamente così, dato che la maggior parte di loro ha svolto percorsi all’estero di tutto rilievo. Ci sono artisti, all’interno di That’s IT!, che studiano ad Harvard oppure che si sono formati presso artisti importanti. E Cesare Pietroiusti, che ha sperimentato formule di educazione alternativa, ha scritto in catalogo un testo su questo argomento.

Michele Sibiloni, Fuck it, 2016. Courtesy l’artista. Installation view at MAMbo, Bologna 2018. Photo E&B Photo

Michele Sibiloni, Fuck it, 2016. Courtesy l’artista. Installation view at MAMbo, Bologna 2018. Photo E&B Photo

Quali altri aspetti caratterizzano questa generazione di artisti?
Dal mio punto di vita, ad esempio, la materia dell’autorappresentazione, per questi 56 artisti, è fondamentale. Tutti loro sanno esattamente come conferire un’autorappresentazione di sé, in quanto artisti. Il tema sviluppato da ognuno di loro come singola persona che si scontra contro il mondo dell’arte è presentissimo in mostra. Anche nella forma di un autoritratto. È diventata un’urgenza quella del voler mettere in pubblico la propria situazione e qui bisognerebbe sviluppare una lunga riflessione. Non bisogna infine, come ha sottolineato Andrea Viliani, dimenticare l’attenzione al paesaggio architettonico, storico, sociale e post-apocalittico. E in ultimo, un tema necessario per i millenials è quello dell’economia, della situazione del mondo del lavoro, della crisi globale e dei sovvertimenti dettati dalle leggi capitalistiche, leitmotiv che ha investito la vita di molti artisti.

Potresti esprimere un augurio che accompagni gli artisti e un pensiero per i visitatori che attraverseranno That’s IT!?
Vorrei che per tutti i ragazzi rappresentasse una sorta di tappa, all’interno della loro carriera. Sono molto felice che parecchi di loro abbiano utilizzato questa mostra per inaugurare nuovi progetti, nuove opere, prodotte dal museo. Alcuni lavori rappresentano il primo passo di una ricerca che durerà anni. Questo processo rappresenta una scelta intelligente, è un orgoglio di questa mostra poter innescare tali procedimenti virtuosi.
Ai visitatori auguro non solo di trovare nuove risposte, ma anche nuovi interrogativi. Sicuramente troveranno lavori, fra gli oltre 56 esposti, che saranno di loro gradimento, vorrei che ne rimanessero sedotti, con l’animo disposto di chi vorrebbe entrare nelle cose e non solo subirle.

Ginevra Bria

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Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

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