Tutti pazzi per gli scacchi. Da Duchamp a Yoko Ono

Fondazione Joan Miró, Barcellona – fino al 22 gennaio 2017. Sul colle del Montjuïc si reinterpretano le opere dei maggiori artisti del XX secolo attraverso le antinomie, non solo cromatiche, del gioco degli scacchi. Tra video surrealisti e testimonianze delle due guerre mondiali.

Nel gioco degli scacchi, il “finale di partita” identifica la terza e ultima parte dell’incontro, dopo l’apertura e il mediogioco; vi si arriva solo se i due sfidanti sono entrambi esperti, altrimenti la partita si conclude prima. Sulla scacchiera sopravvivono pochi pezzi e anche il re è tenuto a interpretare un nuovo ruolo, da vittima ad aggressore: è una fase estrema. Ma, soprattutto, tale definizione rievoca il secondo grande capolavoro del teatro beckettiano Fin de partie (1955), dove i personaggi, apparentemente gli unici uomini superstiti, si muovono, non a caso, in uno scenario post-atomico.
L’esposizione rinvia, dunque, alle atmosfere rarefatte di Beckett (è esposto il testo originale di Fin de partie), che ben si prestano a rappresentare gli anni e le inquietudini tra le due guerre, sfondo ineluttabile delle avanguardie. Gli scacchi, il cui termine deriva, peraltro, dal catalano escac (re), diventano uno dei fil rouge della storia dell’arte moderna, dal Cubismo all’arte concettuale, al movimento Fluxus, passando per il Dadaismo e il Surrealismo.

Sonia Delaunay, Vestiti simultanei, 1925

Sonia Delaunay, Vestiti simultanei, 1925

I PROTAGONISTI

Ottanta opere di artisti diversi, come Paul Klee, Vasily Kandinsky, Sonia Delaunay, René Magritte, Max Ernst, dello scrittore Mercè Rodoreda o ancora di un rappresentante del Bauhaus come Josep Hartwig, dialogano con le opere e il pensiero di Marcel Duchamp, vate del gioco e testimonial indiscusso della mostra, per il quale i pezzi degli scacchi “sono l’alfabeto che plasma i pensieri, e questi pensieri esprimono la bellezza astrattamente […] Sono arrivato alla conclusione personale che mentre non tutti gli artisti sono giocatori di scacchi, tutti i giocatori di scacchi sono artisti. […] C’è un fine mentale implicito quando si guarda l’ordine dei pezzi sulla scacchiera. La trasformazione dell’aspetto visivo in materia grigia è una cosa che avviene sempre negli scacchi e che dovrebbe avvenire nell’arte”. Un’autentica ossessione per Duchamp che, a partire dal 1923, se ne è occupato quasi esclusivamente, diventando anche capitano della squadra olimpica francese, al fianco del campione del mondo Alexander Alekhine, come raccontano le diverse fotografie d’epoca presenti nelle teche (tra queste, la foto del campionato di Chamonix del 1927 o del torneo alla Julien Levy Gallery di New York del 1945).

Alexander Calder, Assemblage, 1944

Alexander Calder, Assemblage, 1944

LA RASSEGNA

La mostra si snoda in sei aree tematiche che indagano gli scacchi, visti come gioco di intrattenimento per la famiglia, metafora della guerra o, ancora, simbolo e rifugio di pulsioni emotive e, infine, come anticipazione dell’arte concettuale. Dalla sezione dedicata alla lettura psicanalitica emerge poi come la scacchiera, scenografia privilegiata della relazione sentimentale tra il re e la regina, distanti dalla solitudine esistenzialista del pedone, incarni la mappa dei desideri umani, anche sessuali, solleticati dalle mosse degli avversari. L’atmosfera da archivio dell’allestimento, forse eccessivamente rigoroso e didascalico nel documentare il tema della mostra, è fortunatamente controbilanciata da video surrealisti, su tutti 8×8: A Chess Sonata in 8 Movements (1957) firmato da Hans Richter, Marcel Duchamp e Jean Cocteau, dall’iconico e cubista olio I giocatori di scacchi di Duchamp e da quattro ready made (tra i quali, Trébuchet 1917) e, ancora, dalla Scacchiera gigante di Paul Klee e da una serie di curiose scacchiere firmate Alexander Calder, Max Ernst e Isamu Noguchi, che moltiplicano geometricamente i volumi e le prospettive, creando ulteriori spazi mentali cui accedere con matematica concentrazione.

Fabio Massimo Pellicano

Barcellona // fino al 22 gennaio 2017
Finale di partita: Duchamp, scacchi e l’avanguardia
a cura di Manuel Segade
FONDAZIONE JOAN MIRÓ
Parc de Montjuïc+34 (0)934 439470
[email protected]
www.fmirobcn.org

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Fabio Massimo Pellicano

Fabio Massimo Pellicano

Fabio Massimo Pellicano (Roma, 1984). Pittore da sempre, o quasi. Avvocato da circa metà decade, ovvero la metà del tempo da cui scrivo come pubblicista. Arte, antiquariato, diritto: se inverti l’ordine delle parole il risultato non muta. Ho collaborato con…

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