Lo scorso 10 agosto, la notizia delle nomine del nuovo Consiglio d’Amministrazione della Fondazione Musica per Roma, con la proposta di riconfermare il presidente Aurelio Regina e designare José Ramon Dosal Noriega nuovo amministratore delegato. L’insediamento dei 15 membri era previsto per settembre. Ma, neanche il tempo di congratularsi con i candidati al nuovo cda, che il 16 agosto arriva la stangata: la Commissione Cultura di Roma Capitale boccia le scelte del sindaco Ignazio Marino. Le motivazioni? Eccessiva continuità con il Consiglio d’Amministrazione uscente e inadeguatezza delle competenze in ambito musicale dei nominati.
La vicenda non è passata inosservata e ha innescato serie riflessioni sulle norme italiane, che starebbero mettendo a rischio il funzionamento di molte istituzioni culturali del Paese. A cominciare dal decreto Enti Territoriali – diventato legge il 6 agosto scorso – che estende il limite di 5 componenti a tutti i consigli di amministrazione degli enti ed organismi pubblici, anche con personalità giuridica di diritto privato, abolendo la deroga prevista per le istituzioni culturali. Il rischio concreto è di ingessare il management di realtà culturali di alto livello con vincoli legislativi “incomprensibili – sostiene il presidente Federculture Roberto Grossi – visto che la legge cui si richiamano (l. 122/2010) prevede la gratuità degli incarichi nei cda che, dunque, non gravano sulla finanza pubblica. E in questo senso avevamo sollecitato la deroga inserita nella legge di stabilità del 2014. Ora si fa un passo indietro che avrà durissime conseguenze per il settore culturale e per questo scriveremo al governo per chiedere un tempestivo intervento”.
Mentre, a proposito della mancata ratifica del cda della Fondazione Musica per Roma, sottolinea: “Non è un organismo pubblico, non è compresa nell’elenco Istat delle pubbliche amministrazioni e, quindi, non ricade nell’ambito di applicazione della legge 122 né nelle successive modifiche o deroghe. Come è noto, inoltre, la Fondazione ha un assetto gestionale di stampo privato e i componenti degli organi di amministrazione non percepiscono compensi, né rimborsi spese. Invitiamo, quindi, le istituzioni a confermare le scelte fatte sulle nomine del cda per salvaguardare la continuità dell’operato dell’Auditorium affinché possa proseguire con i risultati straordinari fin qui ottenuti per la città di Roma e il Paese”. Insomma la norma rischia di impedire nei cda delle istituzioni culturali una rappresentanza dei soci e dei mecenati privati, disincentivandoli a sostenere le attività. Un bel guaio: da una parte lo stato taglia le risorse, dall’altra crea ostacoli all’arrivo dei privati. Paradossale e pericoloso.
– Marta Pettinau